Mons. Tomasi: la difesa della proprietà intellettuale è un bene che non deve dimenticare
i bisogni dei Paesi emergenti
Difendere la proprietà intellettuale rientra nel novero della tutela dei diritti umani
sanciti dalla Dichiarazione Universale delle Nazioni Unite e consente il progresso
di una civiltà. Ma perché ciò produca un reale benessere, soprattutto nei Paesi in
via di sviluppo, occorre che le tali norme di tutela siano modulate su regimi di equità.
Lo ha affermato ieri l’arcivescovo Silvano Maria Tomasi, osservatore permanente della
Santa Sede all’Onu di Ginevra. Il presule è intervenuto all’Assemblea generale dell’Organizzazione
mondiale della Proprietà intellettuale. Il servizio di Alessandro De Carolis:
L’autore
di un’opera letteraria, scientifica, artistica ha diritto a veder difesa da apposite
leggi la sua creazione, così come a trarne una ricompensa morale e/o economica. Tale
creazione diventa un contributo allo sviluppo culturale del suo Paese, di un continente,
talvolta dell’intera umanità. Ma come si declina questo diritto quando a essere interessati
sono i Paesi in via di sviluppo? In questo caso, la difesa della proprietà intellettuale
va calibrata sulle situazioni contingenti di quei Paesi per evitare che il previsto
vantaggio non si trasformi in un boomerang a causa di leggi troppo severe o mal concepite.
Su questo argomento ha ruotato l’intervento di mons. Silvano Maria Tomasi alla 48.ma
serie di incontri promossi dall’Assemblea generale dell’Organizzazione mondiale della
proprietà intellettuale.
Gli economisti, ha rilevato, “riconoscono
diversi meccanismi attraverso i quali diritti di proprietà intellettuale (DPI), possono
stimolare lo sviluppo economico”. Ma i riscontri di tale progresso, ha proseguito,
sono finora “frammentati e un po’ contraddittori”. Un “sistema forte di protezione
– ha osservato mons. Tomasi – potrebbe aumentare ma anche limitare la crescita economica”,
a seconda degli ambiti in cui questa tutela viene applicata. “Infatti – è stata la
valutazione dell’osservatore vaticano – le economie in via di sviluppo potrebbero
subire delle perdite nette di benessere nel breve periodo, perché molti dei costi
della protezione potrebbero emergere prima della dinamica dei benefici”. Ecco perché,
ha soggiunto, spesso è “difficile organizzare una convergenza di interessi a favore
della riforma della proprietà intellettuale nei Paesi in via di sviluppo”.
“L'adozione,
in questi contesti, di forti diritti di proprietà intellettuale è spesso difesa da
chi sostiene – ha ricordato il presule – che questa riforma attrarrà nuovi significativi
flussi di tecnologia, un fiorire di innovazioni locali e dell’industria culturale,
e una più rapida riduzione del divario tecnologico tra Paesi in via di sviluppo e
Paesi sviluppati. Tuttavia, va riconosciuto che è altamente improbabile che il miglioramento
del diritto alla proprietà intellettuale produca di per sé tali benefici”. E questo
perché, ha affermato mons. Tomasi, “l'aumento dei benefici derivanti da diritti
di proprietà intellettuale nei Paesi dipende dalla loro capacità di assorbire e sviluppare
tecnologie e nuovi prodotti”.
Sono dunque tre, per il rappresentante
vaticano, le questioni “fondamentali” da tenere presenti. Primo, favorire la formazione
scolastica secondaria e universitaria perché è dimostrato, ha detto, che “la
capacità di adattarsi alle nuove tecnologie per usi industriali a livello locale viene
migliorata se essa si unisce a livelli elevati di istruzione e a un adeguato capitale
umano qualificato”. Secondo, non va dimenticato che “l'assorbimento di tecnologie
straniere per l’aumento della produttività dipende dalle performance di ricerca e
sviluppo delle imprese locali”. E ciò vuol dire che va promossa “un’efficace politica
tecnologica” – tramite conferenze e partenariati – che miri all’ammodernamento tecnico
nelle imprese nazionali e, in un orizzonte più ampio, al progresso dei mercati
finanziari perché i Paesi emergenti siano in grado di gestire “i significativi rischi
connessi con lo sviluppo della tecnologia”. Terzo, considerare che in molti
Paesi “un problema rilevante è l'incapacità degli enti di ricerca di portare le loro
invenzioni sul mercato, in modo utile”. Di conseguenza, ha concluso mons. Tomasi,
un più severo diritto alla proprietà intellettuale non solo sarebbe di aiuto
in questo contesto, ma lo sarebbe anche per i contratti di sviluppo tra istituti e
imprese, favorendo “una maggiore flessibilità per i ricercatori a formare nuove occasioni
di business”.