Il ruolo del Vaticano negli equilibri europei analizzato nel libro "La Santa Sede
alla Conferenza di Helsinki". Intervista con l'autore, Giovanni Barberini
“La Santa Sede alla Conferenza di Helsinki”: è il titolo del libro del prof. Giovanni
Barberini, giurista esperto di diritto ecclesiastico e di relazioni internazionali.
Il volume, edito da Cantagalli, sarà presentato oggi pomeriggio all’Ambasciata d’Italia
presso la Santa Sede, presenti il cardinale Achille Silvestrini, l’ambasciatore Paolo
Pucci e il prof. Francesco Margiotta Broglio. Roberta Gisotti ha chiesto all’autore
quale sia stato il ruolo della diplomazia vaticana, in piena Guerra fredda, per la
riuscita degli accordi di Helsinki, che diedero vita all’attuale organizzazione per
la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce):
R. – Fu un
ruolo che io ritengo molto, molto importante, almeno per due motivi: prima di tutto,
perché la Santa Sede – allora governata da quel grande uomo di Stato che era Paolo
VI con il suo collaboratore, il grandissimo diplomatico mons. Casaroli – seppe inserirsi
sulla scena internazionale in un momento particolarmente difficile e delicato. In
ciò, devo dire, anche sotto la pressione – può sembrare strano – dell’allora Unione
Sovietica, che aveva intravisto, era convinta del ruolo che avrebbe potuto giocare
la Santa Sede nelle relazioni internazionali, per la distensione e per la pace. L’altra
questione che va sottolineata è la formulazione di quello che è passato alla storia
come il settimo principio del decalogo di Helsinki: cioè, la libertà di pensiero,
di coscienza, di religione, che fu una rivendicazione non di carattere generale o
meno che meno in favore della fede cattolica, ma costituì la base ideologica per tutti
i movimenti di dissenso che poi portarono gradualmente alla caduta dei regimi comunisti.
D.
– Passiamo all’Osce di oggi, che resta la più vasta organizzazione regionale per la
sicurezza. Ma quale importanza riveste, nell’attuale scacchiere internazionale? Qualcuno
dice anche che sia un organismo superato …
R. – Io ritengo che, come
molte organizzazioni internazionali, anche l’Osce stia passando un momento non vogliamo
dire di crisi, ma di trasformazione, come lo sta passando la Nato: la stessa Unione
Europea ha problemi, il Consiglio d’Europa pure. Non mi meraviglio allora che anche
l’Osce stenti a trovare il suo ruolo. E’ chiaro che questo ruolo, oggi, deve essere
trovato coordinandosi con le altre organizzazioni internazionali, in particolare con
la Nato. Perché la sicurezza non può essere più affidata soltanto alla Nato, ma deve
abbracciare anche uno scacchiere che va ben al di là dei confini della Nato: si pensi
agli Stati dell’Asia centrale, per esempio.
D. – Professore, il ruolo
dell’Osce è forse anche offuscato da altri organismi di maggiore interesse economico:
non crede che oggi viviamo tempi di sbilanciato asservimento della politica all’economia?
R.
– Certamente. Però, non dimentichiamo una cosa: stante il complesso delle relazioni
economiche e i problemi di carattere finanziario che stringono il mondo intero – e
l’abbiamo visto recentemente – è anche vero che gli Stati, soprattutto gli Stati europei,
questa enorme massa di Stati europei, compresi poi gli Stati Uniti e il Canada, non
può fare a meno di un sistema di sicurezza che sia globale e che consenta anche relazioni
economiche e finanziarie, più pacifiche, più equilibrate. Quindi, le due cose – l’aspetto
economico e l’aspetto della sicurezza politico-militare – non sono in contraddizione
ma devono essere coordinate.
D. – Professore, un concetto di sicurezza
basato su principi etici?
R. – Certamente. E qui, se mi permette, mi
rifaccio a quello che ha sempre detto e insegnato il grande collaboratore di Paolo
VI, mons. Casaroli. Allora la pace si reggeva sull’equilibrio del terrore e più o
meno ha funzionato, perché ha impedito che scoppiasse la terza guerra mondiale. Però,
io penso che oggi non sia più un problema di equilibrio, inteso come 50 anni fa, ma
sia un problema di equilibrio ragionato, rispettoso l’uno dell’altro. E in particolare,
si tratta di trovare un equilibrio tra le varie aree che compongono questo immenso
mondo "europeo", che ormai va dall’Iran, praticamente, fino agli Stati Uniti d’America.