Vertice Onu sugli obiettivi del Millennio. ll cardinale Turkson: combattere la povertà,
non i poveri
Non abbiate paura dei poveri: l’invito del cardinale Peter Turkson, presidente del
Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, rivolto ieri al Vertice, in corso nel Palazzo
di Vetro dell’Onu a New York, per fare il punto sugli obiettivi di sviluppo del Millennio.
Il porporato a capo della delegazione della Santa Sede ha chiesto ai governi dei Paesi
sviluppati e non, di assumersi le proprie responsabilità nella lotta alla povertà.
Il servizio di Roberta Gisotti.
“Gli obiettivi
di sviluppo del Millennio dovrebbero servire a combattere la povertà non ad eliminare
i poveri!”, ha esclamato il cardinale Turkson in casa Onu. Guai “a diffondere e ad
imporre stili di vita egoistici o, peggio ancora, politiche demografiche quale conveniente
mezzo per ridurre il numero dei popoli poveri”. Sarebbe un “segno malevolo e miope”.
Al contrario, ha aggiunto il porporato, bisogna “dare ai Paesi poveri una struttura
accessibile di finanza e commercio e aiutarli a promuovere la buona governance e la
partecipazione della società civile” per contribuire effettivamente al benessere di
tutti.
Del resto, ha sottolineato ancora il capo della delegazione vaticana,
“tutti i Governi, sia dei Paesi sviluppati che in via di sviluppo devono assumersi
le proprie responsabilità per combattere la corruzione contro una sconsiderata e talvolta
immorale condotta nel campo degli affari e della finanza, cosi come l’irresponsabilità
e l’evasione fiscale, al fine di garantire lo stato di diritto e promuovere gli aspetti
umani dello sviluppo come l’educazione, la sicurezza lavorativa e l’assistenza sanitaria
per tutti”.
Infine un’accusa precisa: se innumerevoli vittime innocenti,
intere popolazioni, sono state abbandonate a seguito della crisi finanziaria internazionale,
ciò si deve “alla condotta immorale e irresponsabile dei grandi operatori finanziari
privati insieme alla mancanza di lungimiranza e controllo da parte dei Governi e della
comunità internazionale”. Inoltre, ha aggiunto il porporato, “i Governi - sia donatori
che beneficiari - non dovrebbero interferire o ostacolare il particolare carattere
e l’autonomia delle organizzazioni religiose e civili” impegnate nel campo dello sviluppo;
piuttosto dovrebbero rispettosamente incoraggiarle, promuoverle e sostenerle per quanto
possibile finanziariamente. “La generosità e la dedizione delle organizzazioni religiose
e civili dovrebbe ispirare gli organismi governative e internazionali a fare altrettanti
sforzi”.
Tra gli altri ostacoli alla sviluppo il presidente di Giustizia
e Pace, ha indicato il “nazionalismo eccessivo” e l’“interesse corporativo”, così
pure “le vecchie e nuove ideologie”, che fomentano le guerre e i conflitti, ed anche
“i traffici illegali di persone, droghe e preziose materie prime”, la mancanza di
scrupoli di taluni imprenditori, il riciclaggio di denari nei cosiddetti ‘paradisi
fiscali’. Sono tutte realtà che deviano le già limitate risorse per lo sviluppo nei
Paesi poveri.
Lottare contro la povertà materiale è “un obiettivo strategico
e nobile”, ha concluso il rappresentate della Santa Sede, “ma in questo sforzo non
dimentichiamo mai che la povertà materiale è collegata alla povertà relazionale, emozionale
e spirituale”. La persona umana deve essere al centro della nostra ricerca per lo
sviluppo, non deve essere vista come “un peso” ma come “parte della soluzione”.
Uno
dei passi più significativi dell’intervento del cardinale Peter Turkson al Palazzo
di Vetro dell’Onu a New York, è stato quello riguardante la necessità di dare ai Paesi
poveri una struttura accessibile di finanza e commercio per contribuire effettivamente
al benessere di tutti. Salvatore Sabatino ha chiesto un commento al prof.
Stefano Zamagni, docente di Economia Politica presso l’Università di Bologna e
consultore del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace:
R. – Questo
discorso del cardinale Turkson si richiama a quella che ormai è un’opinione ampiamente
condivisa, che i Paesi poveri non possono continuare ad essere aiutati con la logica
dell’assistenzialismo, perché l’aiuto assistenzialistico non libera le capacità che
sappiamo esistono presso quelle popolazioni. L’altro punto del discorso del cardinale
è quello di mettere in moto un meccanismo, urgentemente, per creare un fondo ed è
questa la ragione per cui si propone quella che ormai è nota come la “Tobin tax”,
cioè una tassazione sui movimenti speculativi dei capitali, dell’ordine dello 0,05
per cento, quindi quasi irrilevante, ma che a livello mondiale darebbe un gettito
molto elevato.
D. – Il cardinale Turkson ha aggiunto anche che gli obiettivi
di sviluppo del Millennio dovrebbero servire a combattere la povertà, non ad eliminare
i poveri. Un appello importante, ma anche una denuncia...
R. – Esatto,
è anche una denuncia, perché evidentemente ci ricorda la distinzione fondamentale
tra povertà e miseria. La miseria è un male, la povertà, se interpretata come virtù,
cioè come distacco e soprattutto distacco dall’avarizia, è invece qualcosa di positivo.
D’altra parte, in qualche pagina del Vangelo c’è scritto che i poveri li avremo sempre
con noi. Quindi, la nostra lotta è contro le cause generatrici della miseria, perché
oggi dobbiamo sapere che la miseria è uno scandalo, non è solo un’ingiustizia, perché
potrebbe essere combattuta e non viene combattuta.
D. – Ad oggi, solo
pochi degli obiettivi prefissati nel campo della salute, dell’istruzione, dell’alimentazione
e dello sviluppo sono stati conseguiti. Quanto la crisi economica ha influito su questo
mancato raggiungimento degli obiettivi e quante invece sono state le responsabilità
della comunità internazionale?
R. – Direi non più di tanto. Lo so che
oggi è di moda attribuire tutti i mali dell’umanità alla crisi. Non dimentichiamo
che la crisi è cominciata solo tre anni fa e questi problemi, che sono di natura endemica,
già si conoscevano cinque, dieci, quindici anni fa. Certo, la crisi ora non sta aiutando
la soluzione, nella misura in cui i diversi Paesi hanno ridotto la partecipazione
ai piani di sviluppo. Le cause, però, generatrici del sottosviluppo sono legate alla
terza rivoluzione industriale e non tanto alla globalizzazione, come spesso si dice.
Terza rivoluzione industriale vuol dire economia della conoscenza. E allora, i Paesi
dove, per una ragione o per l’altra, non si è investito in capitale umano, in educazione,
scuole e così via, vedono allontanata la propria posizione di benessere dagli altri.