Iraq: povertà e disoccupazione tra i cristiani fuggiti al nord per motivi di sicurezza
Resta drammatica la situazione delle comunità cristiane del nord dell’Iraq attanagliate
da violenza e povertà. Nella zona si concentrano molti cristiani fuggiti da città
come Baghdad o Mosul e del loro dramma parla un lungo reportage pubblicato dal sito
Ankawa.com e citato da AsiaNews. Il documento mette a fuoco, in particolare,
la condizione delle famiglie emigrate nei villaggi del distretto di Zakho, nel governatorato
di Dohuk, provincia semi-autonoma del Kurdistan iracheno. Qui imperversano disoccupazione,
povertà e carenza di servizi base, cibo, carburante e nessuna prospettiva per il futuro.
Il problema principale è la mancanza di lavoro, che ha costretto numerosi capi famiglia
a cercare occupazione a Baghdad o nella vicina Erbil. I bambini lasciano la scuola
per la difficoltà di dover studiare in curdo, una lingua a loro sconosciuta. Quelli
che, invece, proseguono gli studi spesso non riescono neppure a comprare il materiale
scolastico, che è molto costoso rispetto ai guadagni di una famiglia media. In molti
spiegano che la difficoltà nel trovare lavoro è dovuto al fatto che le opportunità
maggiori sono legate al settore agricolo, in cui però nessuno degli emigrati dalle
città ha sufficiente esperienza. Per sopravvivere, in pratica, si fa affidamento totale
sugli aiuti offerti dalle organizzazioni umanitarie e dalla Chiesa. I responsabili
della comunità cristiana locale riescono a distribuire circa 50 dollari al mese a
famiglia, cifra non sufficiente a soddisfare le esigenze neppure dei nuclei più piccoli.
I prezzi dei generi alimentari aumentano per l’assenza di un controllo da parte delle
autorità. Molte famiglie possono usufruire delle razioni alimentari fornite dal governo
solo nelle loro città di origine; ma andarsi a rifornire a Baghdad, Basrah o Mosul
significa ogni volta una notevole spesa per il trasporto e soprattutto un grande rischio
data l’insicurezza che caratterizza questi centri. La mancanza di cibo si somma
a quella di carburante e servizi base. Dal canto suo, il governo curdo garantisce
assistenza medico-sanitaria gratuita, fornisce acqua ed elettricità, ma i servizi
pubblici sono scarsi: le strade sono dissestate, la scarsa pulizia nei villaggi e
nelle città contribuisce al proliferare di malattie ed epidemie. Scarseggiano, inoltre,
alloggi dignitosi per il gran numero di persone arrivate al nord in fuga dalle città
negli ultimi sei anni. In molti sono costretti a vivere ammassati nei conventi o nelle
parrocchie: due o tre famiglie a stanza. La povertà dilagante è legata anche al fatto
che si sono spesi tutti i risparmi per permettere ai giovani di emigrare fuori dall’Iraq
in modo più o meno legale. Per i ragazzi, ormai, nel Paese non vi è più futuro e data
l’aggravarsi dell’instabilità, legata all’empasse politico, emigrare all’estero è
vista come l’unica speranza. Frustrazione e depressione sono sentimenti diffusi e
legati anche alla consapevolezza di aver perso tutto. Le famiglie arrivate dal quartiere
di Dora, a Baghdad, raccontano di aver lasciato le loro case ai vicini perché ne garantissero
la sicurezza, ma che gruppi armati le hanno confiscate con la forza costringendo gli
abitanti della zona a indossare il velo o pagare la tassa per i non musulmani. (M.G.)