Moratoria degli insediamenti ebraici ai negoziati israelo-palestinesi
Il premier israeliano Benjamin Netanyahu e il presidente palestinese Mahmoud Abbas
“si stanno occupando delle questioni più serie, stanno affrontando i temi chiave”.
Lo ha detto stamani il segretario di Stato Usa, Hillary Clinton, nel corso dei negoziati
israelo-palestinesi, che sono ripresi oggi a Gerusalemme, dopo l’intensa giornata
di ieri a Sharm el Sheikh. La ripresa dei colloqui è stata accompagnata dal lancio
di diversi colpi di mortaio dalla Striscia di Gaza, che sono caduti in territorio
israeliano senza provocare né’ vittime ne’ danni. Uno dei punti al centro dell’incontro
è il nodo della moratoria sugli insediamenti ebraici. Antonio Ferrari, inviato speciale
ed editorialista del Corriere della Sera, al microfono di Giada Aquilino:
R. - Il 26
finisce questa moratoria che i palestinesi, gli americani e gli egiziani vogliono
che continui. Il governo di Israele e soprattutto l’estrema destra israeliana insistono
per il contrario. C’è un aspetto tutto sommato non del tutto negativo e riguarda soprattutto
i palestinesi, perché i palestinesi - come ha detto e ha sottolineato Abu Mazen -
alla fine cosa potrebbero fare? Se si arriva entro l’anno a qualche risultato bene,
altrimenti i palestinesi potrebbero sempre a quel punto dire: allora noi ci prepariamo
a dichiarare lo Stato. E gli americani potrebbero passare il tutto al Consiglio di
sicurezza delle Nazioni Unite. Dall’altra parte, però, anche Israele e Netanyahu possono
avere un piccolo vantaggio: Netanyahu, pure se non ci fosse stata la possibilità di
questi colloqui, avrebbe dovuto comunque affrontare gravissimi problemi di stabilità
politica interna. Il fatto che questi colloqui vadano avanti potrebbe in qualche misura
consentirgli di sopravvivere alla crisi politica per un altro anno.
D.
- Quanto pesano le minacce di Hamas di proseguire la lotta, nonostante le trattative
in corso?
R. - Indubbiamente pesano. Gli sforzi diplomatici dell’Egitto
per rimettere assieme le due componenti palestinesi sono stati per il momento sterili.
Certo, Hamas minaccia attentati, ma io credo che qui il coraggio di chi ha voluto
riprendere i colloqui dopo due anni di gelo, sia un coraggio che dovrebbe ereditare
almeno una cosa importante del pensiero di Yitzhak Rabin, primo ministro di Israele
ucciso da un estremista ebreo nel ’95. Rabin diceva: “Bisogna negoziare, facendo finta
che il terrorismo, che gli attacchi, che le violenze non esistano, e combattere il
terrorismo e le violenze come se il negoziato non esistesse”.