2010-09-15 14:49:45

Il vescovo di Locri agli uomini della 'ndrangheta: non profanate la Croce di Polsi


“Non profanate la Croce di Polsi aderendo ad associazioni che hanno alla loro base solo il crimine o il malaffare”. E’ l’appello del vescovo di Locri, mons. Giuseppe Fiorini Morosini, lanciato nel corso della sua omelia per la Festa della Croce, che si è celebrata ieri in occasione della festa della Madonna della Montagna nel Santuario di Polsi, nella Locride, in Calabria. La ricorrenza coinvolge anche affiliati della ‘ndrangheta, che proprio in quei luoghi lo scorso anno tennero un summit per definire i vertici dell’organizzazione. In merito Federico Piana ha raccolto la riflessione dello stesso mons. Fiorini Morosini:RealAudioMP3

R. - Il nostro problema grave qui in Calabria e anche nella Locride è quello di affrontare la rottura tra la fede e la vita. Sapere che diamo tanti Sacramenti senza poi un risvolto concreto nella vita, sapere che tante devozioni e tanti segni religiosi seguiti da una folla straordinaria, poi, non hanno una ripercussione nelle scelte di vita di ogni giorno, questo è il problema gravissimo che come chiesa diocesana noi stiamo cercando di affrontare.

D. - Come mai, secondo lei, la ’ndrangheta vive questo strano rapporto con la fede?

R. - Il problema sono le convinzioni che soggettivamente hanno le persone. Quando si ha a che fare con le convinzioni delle persone è chiaro che un discorso di recupero diventa estremamente difficile. Io, tante volte, parlando con i sacerdoti della diocesi ripeto che è più facile fare la prima evangelizzazione, piuttosto che recuperare al Vangelo forme, ormai, solo esteriormente religiose, perché tante volte c’è la convinzione tenace, forte, che loro sono dalla parte del giusto e questo costituisce un gravissimo problema pastorale per noi.

D. - Lei ha fatto un appello alla conversione ... cosa si può sperare?

R. - La speranza c’è in tutti, il Signore può fare anche miracoli, però se ragioniamo nei termini umani di cammino, di recupero, il cammino è possibile ma sarà lunghissimo, troppo lungo, perché qui si tratta di cambiare modi di pensare la vita, modi di gestire il senso delle scelte di vita, ancora prima delle scelte religiose. E’ il prototipo di uomo che sta davanti agli occhi che bisogna cambiare e per far questo ci vogliono generazioni.

D. - Lei recentemente ha detto: i calabresi devono trovare la forza di denunciare, cosa che tante volte non avviene, per paura… Perché, secondo lei, non si ha il coraggio di denunciare?

R. - Bisogna dire che le istituzioni devono stare accanto alle persone che denunciano e spesso questo non avviene. Abbiamo dei magistrati che stanno parlando con estrema chiarezza: la sicurezza della pena, la gravità e la severità della pena che manca. Perché, chi se la sente di denunciare uno e poi vederlo fuori dopo alcuni anni? Non possiamo pretendere l’eroismo dalla gente. Se, invece, la denuncia di un’estorsione comporta, come dice qualche magistrato, una pena certa e alta, allora, io mi sento più incoraggiato a denunciare. E’ un discorso difficile, che lo Stato dovrebbe esaminare e prendere in considerazione, altrimenti non possiamo dire alla gente di denunciare, sapendo di esporla a ritorsioni.







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