2010-09-09 15:08:50

Al Festival di Venezia commozione per il film del regista cinese Wang Bing


Al Festival del cinema di Venezia un film sorpresa in concorso stupisce e commuove per il suo rigore e realismo: si tratta di “Le fossé” (Il fossato), del regista cinese Wang Bing, crudissima storia di dolorose vite umane nella Cina sul finire degli anni ’50. Attesa grande, oggi, per il quarto e ultimo film italiano in concorso, Saverio Costanzo con la sua trasposizione cinematografica del romanzo di Paolo Giordano “La solitudine dei numeri primi”. Il servizio dalla città lagunare di Luca Pellegrini. RealAudioMP3

Orribili solitudini dettate dal potere, terribili solitudini imposte dalla vita. Le prime vere, le seconde immaginate. Entrambe di irreparabile tragicità. A sorpresa, e come molte sorprese abbagliante nella sua inattesa forza cinematografica e storica, entra in concorso Le fossé di Wang Bing, alla sua prima vera prova nel lungometraggio, dopo essere stato scoperto come uno dei documentaristi cinesi più rigorosi ed espressivi. Nell’estremità insopportabile della natura ostile – è il Deserto del Gobi – intellettuali deportati dal governo cinese alla fine degli anni ’50 vivono come topi nelle condizioni umane spinte ai limiti estremi della sopravvivenza e in attesa della morte. Il dialogo è rarefatto come l’aria, le immagini talvolta insopportabili come la sussistenza dei disperati, così avara e parca di cibo da rendere possibili gesti insopportabili. La nitidezza austera e tragica di questo film cauterizza la denuncia politica e sociale che soltanto sottintende, che non viene mai detta, soltanto mostrata o intuita. Davanti al rigore disumano del sistema, infatti, vince la pietà, vince l’umanità affranta che sopporta, la condivisione della sofferenza nei piccoli gesti o nell’ascolto delle sventure, il muto scorrere della storia che spesso è avara di felicità, di giustizia o di semplice normalità. Storia che, invece, scorre in un fluttuante e quasi onirico zigzagare, in ossequio a ciò che nel romanzo era possibile e al cinema diventa faticosissimo, nella trasposizione sullo schermo del fortunato romanzo di Giordano. Il film lo è molto meno: difficile raccontare “i corpi - come dice il regista Saverio Costanzo - e il loro stravolgimento nel corso di vent’anni” e insieme raccontare gli amari destini delle esistenze di Alice e Mattia alla deriva, sfregiati anche nell’anima malata, e calarli in una realtà sentimentalmente orrorifica che sembra più un escamotage che necessità, così come le musiche acide di Mike Patton. Il volto di Alba Rohrwacher è perfetto, troppo perfetto, così come quello di Luca Marinelli. Si stenta a credere a questi numeri primi che cercano una spiaggia di salvezza nel deambulare in una Milano bene, si soffre assai più e compatisce con i numeri ignoti che vagano senza sapere in una Cina che non conoscono più.







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