Il Risorgimento italiano secondo Mario Martone tra i film più attesi al Festival di
Venezia
E’ uno dei film più attesi della Mostra del Cinema veneziana e sul quale si concentra
l’attenzione della critica, degli spettatori e degli storici: "Noi credevamo" di Mario
Martone tratto dall’omonimo romanzo di Anna Banti. Tre giovani si muovono sullo sfondo
della tormentata storia che portò all’unità d’Italia. Un film rigoroso, commovente,
intimo, che guarda al nostro presente e sul quale è doveroso riflettere. Il servizio
di Luca Pellegrini:
Due volte
brucia una chiesa del Sud, quarant’anni dividono questo incendio, due eserciti macchiano
di sangue terre aride di speranza e di coscienza: sono quelli borbonici prima, piemontesi
poi. L’Italia nasce così, non una vera rivoluzione, non un sentimento condiviso di
patria, ma un parto difficile, un cesareo necessario, del quale pochi decidono i tempi
e i modi. Tre fratelli attraversano le fasi di questa nascita, che è di ieri – il
come eravamo – ma racconta anche i tempi nostri – il perché siamo – tre diversi destini,
tre illusioni che scorrono nelle oltre tre ore di film. Mario Martone,
in questo suo affresco risorgimentale, evita le masse, le battaglie, gli eserciti,
i re e i politici, le figure alte della storia (se non Mazzini) e si concentra, da
grande regista di teatro e di sentimenti, sui singoli e sulle famiglie, sui nobili
e gli ultimi, i ricchi e i poveri, gli eroi e i traditori, dirigendoli tutti con eccelsa
bravura: chi teorizza, chi complotta, chi subisce, chi viene avvolto dal morbo demoniaco
della rivolta e delle armi e chi da quello poco eroico del compromesso e degli interessi.
Un Risorgimento che è pagina di storia difficile ancor’oggi, a centocinquant’anni
di distanza. Abbiamo chiesto al regista napoletano come si configura nel film questo
rapporto col presente.
“E’ un film rigorosamente documentato. Al tempo
stesso, il rapporto col presente è sempre molto forte. Quello che per me conta è che
sia lo spettatore a compiere questo lavoro, cioè che non sia da parte nostra messo
in maniera artificiale. Tenete presente che gli attori si sono confrontati con una
lingua obsoleta, la lingua dell’Ottocento. Gli attori hanno sempre accettato questa
sfida come una sfida importante, cioè la possibilità di rendere viva quella lingua
perché lo spettatore potesse cogliere il rapporto tra quel passato e il nostro presente”.
Il
tema musicale che accompagna questa storia italiana è tratto dal Don Carlos verdiano,
melodramma sul potere e le vanità del mondo: una scelta voluta?
“L’idea
di partenza è venuta ascoltando l’Otello. Ascoltavo l’Otello, dirigeva Muti all’Opera
di Roma, l’aria 'Dio! Mi poteva scagliar': grazie al fatto che eravamo in teatro,
riesco a sentire l’orchestra separata dalla voce e capisco che quella musica in qualche
modo è, sì, melodramma, ma c’è qualcosa di molto tormentato. Partendo da lì abbiamo,
poi, cercato le scelte che musicalmente avessero sempre un carattere di qualcosa che
gira a vuoto, che gira intorno, e le abbiamo trovate disseminate in diverse opere
principalmente di Verdi. Nel Don Carlos ce ne sono molte. Quel tema in particolare
è il tema del personaggio di Angelo, che non a caso è il personaggio più tormentato
e scavato dal punto di vista del tormento interiore”.