Nuovo attentato kamikaze nel Pakistan devastato dalle inondazioni
Non si arrestano le violenze in Pakistan. 19 persone sono state uccise oggi da un’autobomba
contro una stazione di polizia nella provincia di Khyber, nel nordovest del Paese:
tra le vittime, 11 agenti e anche 4 bambini che si stavano recando a scuola. È il
terzo grave attentato che colpisce il Pakistan, devastato dalle alluvioni e in piena
emergenza umanitaria. Michele Raviart ha fatto il punto della situazione con
don Peter Zago, missionario salesiano che da oltre 14 anni vive a Quetta.
R. – Quetta
non avendo avuto danni dall’alluvione, essendo una zona piuttosto alta, è diventata
il rifugio di moltissime famiglie, che scappano dal Sindh, dal Punjab, che sono a
300, 400 km di distanza. Vengono su con il camion per passare questi due o tre mesi
al sicuro. Il governo qui può fare molto di più che non in altre zone, dove le alluvioni
sono ancora una realtà.
D. – Molte sono le organizzazioni non governative
impegnate negli aiuti. Ma nelle zone di emergenza il governo è efficace?
R.
– Il governo, dunque, in certe zone è ben organizzato, lì dove può arrivare con camion
di militari. In altre zone, specialmente nel nord, dove ci sono dei paesi ancora isolati
e abbandonati, perché i ponti sono spariti e le strade sono state distrutte, è difficile
arrivare per il governo. Moltissimi villaggi non sono stati ancora raggiunti. Il numero
di morti potrebbe raggiungere anche la cifra di 25 e 30 mila. Adesso parlano di 18
mila morti.
D. – In Pakistan, al dramma delle alluvioni si somma anche
la violenza di Al Qaeda, che ha colpito ieri anche Quetta...
R. – Sono
morte 56 persone ieri e ci sono stati un’ottantina di feriti, alcuni ancora gravi.
Non abbiamo mai avuto attentati così terribili contro gli sciiti. Al Qaeda aveva detto
che sono loro i colpevoli. Questa organizzazione ha preso la responsabilità, anche
se non ha nessun interesse di aiutare gli alluvionati, ma ne approfitta per screditare
il governo locale. Questo avviene in tutte le città: è avvenuto in Lahore, una settimana
fa, con tre esplosioni, è avvenuto a Quetta e poi avverrà in un’altra città.
D.
– Tornando alle alluvioni, voi come state aiutando materialmente la popolazione?
R.
– Noi diamo cibo: farina, olio per fare il chapati – il loro pane – e poi ancora lo
zucchero. Poi, con la nostra cisterna portiamo l’acqua. I salesiani sono ben organizzati:
ogni procura fa i suoi programmi e quello che riceve viene mandato sia a noi a Quetta,
come anche a don Miguel in Lahore, il quale sta facendo una campagna dopo l’ultima
inondazione del Sindh. Quindi le due comunità sono molto impegnate in questo lavoro.
Abbiamo della gente semplice, musulmana, che si apre moltissimo anche a noi cristiani.
Infatti, quando noi andiamo là, conoscendoci, gridano sempre: “Viva don Bosco”.