Festival di Venezia: ad un regista africano il Premio Bresson, consegnato dal cardinale
Scola
E’ stato conferito questa mattina, nell’ambito della Mostra Cinematografica di Venezia,
il Premio Robert Bresson della Fondazione Ente dello Spettacolo insieme ai Pontifici
Consigli delle Comunicazioni Sociali e della Cultura. A consegnare il riconoscimento
nelle mani del regista africano Mahamat-Saleh Haroun il Patriarca di Venezia, Angelo
Scola. Il servizio di Luca Pellegrini:
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il Premio Bresson e per la sua undicesima edizione guarda all’Africa e al suo futuro,
anche cinematografico. Il riconoscimento è stato, infatti, assegnato al regista originario
del Ciad Mahamat-Saleh Haroun, che attraverso le sue opere racconta tragedie molte
e speranze poche del suo Paese. Il Patriarca di Venezia, il cardinale Angelo
Scola, ogni anno accetta con molto entusiasmo questa sua presenza al Lido.
Ama il cinema e lo segue, come sottolinea ai nostri microfoni:
D. -
Eminenza, dovesse aggiornare il titolo del suo intervento fatto recentemente al Meeting
di Rimini per riproporlo alla Mostra, potrebbe essere: “Desiderare Dio. Chiesa e cinema”?
R.
- Il linguaggio cinematografico è una lingua franca, cioè una lingua che ha una capacità
di interessare immediatamente tutti e questo la avvicina moltissimo al Cristianesimo.
Il Cristianesimo che cos’è nella sua essenza? E’ Dio che si mette in gioco nella storia
dell’uomo, addirittura facendosi come l’uomo in tutto tranne che nel peccato. Quindi,
seguire Cristo vuol dire andare al cuore della realtà, andare al cuore dell’esperienza
dell’uomo, della sua quotidianità, dei suoi desideri, delle aspirazioni, delle gioie,
dei dolori - come ha detto il Concilio Vaticano II nella “Gaudium et spes” - delle
angosce. Quindi, il cinema è un linguaggio che permette la comunicazione della fede
in una maniera formidabile, più ancora della nuda parola e più ancora del libro.
D.
- Quando questo linguaggio parla dell’assenza di Dio e della deriva dell’uomo, come
aiuta secondo Lei la missione della Chiesa oggi?
R. - Noi siamo tutti
figli di Dio. Per quanto la nostra epoca attraversi un groviglio di contraddizioni
è impossibile che almeno un frammento del desiderio di Dio non permanga nel cuore
di ogni uomo. Allora cosa ha fatto Gesù, che è venuto per i peccatori? Ha condiviso
l’umanità dell’altro in questo frammento suscitando la nostalgia del tutto. Sarebbe
molto interessante riprendere la grande esperienza che la Chiesa del resto ha sempre
fatto perché ha visto l’importanza del cinema fin dagli inizi delle sale di comunità
e di riproporre pazientemente a giovani e adulti il linguaggio del cinema come un
modo e un’occasione di evangelizzazione.
Mahamat-Saleh Harounracconta l’uomo e la sua Africa cercando sempre questi frammenti di umanità.
Gli abbiamo chiesto: raccontare per ricordare o per sperare?
R. - Filmé
c’est déjà immortalisé le choses… Filmare è di per sé già immortalare le
cose e filmare dei giovani poi è in qualche modo già dare speranza, perché anche quando
c’è un solo uomo che cammina, c’è della speranza. In realtà, non si può che non sperare
nell’uomo. Anche se i miei film appaiono, a volte, un po’ pessimisti, sono in realtà
inseriti in una speranza più ampia legata a tutte le forme di vita umana presenti
sulla terra. Si tratta, quindi, di scrivere, di parlare di speranza per il semplice
fatto di filmare dei giovani: per me, è già un segno di speranza.
D.
- Quando abbiamo visto Darat, il sottotitolo italiano del film era “La stagione del
perdono”. Secondo lei questa stagione è già sbocciata in Africa oppure quale tipo
di concime necessita per riuscire a farla sbocciare?
R. - Qui. En effet,
je pense qu’elle est déjà née… Sì. Credo che sia già nata. E’ fragile, ma
è già nata. Il cammino è ancora molto lungo. Se possiamo, però, raggiungere il perdono
e la riconciliazione, sarebbe qualcosa di formidabile. Non mi sembra questo il caso,
ma mi sembra che ci sia sempre questo “orizzonte” del perdono, grazie a questi film,
grazie a queste piccole luci che illuminano nel buio. Il cammino deve, quindi, continuare
fino a raggiungere questo “orizzonte” di perdono e di riconciliazione. Ma come voi
sapete, se c’è della luce all’orizzonte, allora c’è della speranza. Quello che io
racconto è un po’ il cammino della gente, il cammino verso la luce. E’ cosi che io
affronto il mio lavoro di cineasta.