2010-09-04 15:47:44

"La Passione" di Mazzacurati al Festival di Venezia


In concorso a Venezia oggi è atteso il secondo titolo italiano, “La Passione” di Carlo Mazzacurati: nell’allestire in Toscana una Sacra Rappresentazione, il coinvolgimento di un regista in crisi e di un intero paese porterà a esiti inaspettati. Con i toni della commedia e nel rispetto del tema, un film che fa sorridere e riflettere. Il servizio di Luca Pellegrini:RealAudioMP3

Sotto una pioggia battente, in croce è salito un altro “povero Cristo”. Non risponde all’iconografia tradizionale, prima di tutto per i numerosi chili che ha addosso. Sta recitando, suo malgrado. E’ un ex-carcerato che ha un cuore grande come quello di Gesù. La gente, che prima assisteva muta e composta e partecipe, alle prime gocce urla e, nel parapiglia, se ne va. Abbandona la scena. Dimentica presto. Soltanto un’emozione di superficie. Dentro, rimane il nulla. E’ la solita storia: chi è inchiodato, non può scappare. E chi è libero, fa una scelta. Solitamente è la più comoda e conveniente. Ma Silvio Orlando, nella parte, perfetta per lui che è un grande attore “semi-comico”, di un regista in perenne crisi e che a prestare l’arte sua per quella sacra rappresentazione nel paesello toscano ci è stato costretto, no, lui non se ne va, come pochi altri. Guarda il crocefisso, guarda fisso negli occhi Giuseppe Battiston. Che cosa capisce in quel dialogo silenzioso di se stesso, dei propri fallimenti e della propria vita? Lo abbiamo chiesto al regista, Carlo Mazzacurati.

“Penso che il cinema debba, in parte, dire attraverso i dialoghi ed in parte rimanere silenzioso. Quei vuoti ognuno li deve riempire con i propri pensieri. Quello che succede a lui in quel momento, è come se questa cosa improvvisa, che è arrivata, inattesa, cioè la forza di quello che sta succedendo, gli riconsegnasse qualcosa che lui, nel profondo, sente di aver perso: la capacità d’invenzione, d’ispirazione. Come se questa quasi epifania, per certi aspetti, si ricongiungesse con la metà di se stesso perduta. Tant’è che alla fine, lui, ha di nuovo il coraggio d’inventare”.

E’ un film particolare, dunque, “La Passione” e, in fondo, ha del coraggioso: osa trattare un tema così importante e delicato e serio – la tragedia di un Dio deriso e inchiodato sul legno – attraverso una finzione che guarda più alla commedia che al dramma. La anomalia sta tutta nel racconto: quel regista pasticcione e in perenne fuga, dopo aver combinato un guaio e rovinato un affresco prezioso di quel paese dove è proprietario di un appartamento, si trova messo dinanzi a una scelta: o ripristinare la tradizione della sacra rappresentazione o venir denunciato. Sceglie la prima opzione e lentamente coinvolge tutto il paese e i suoi estroversi abitanti nella recita, ma soprattutto si fa coinvolgere. Un film a suo modo sapiente, un film delicato che nella sua apparente semplicità si fa vicino alla gente e alla vita di tutti i giorni, a persone che sono esposte più di altre alle difficoltà quotidiane ma che, nel partecipare a quella sacra tradizione di teatro popolare, ritrovano un ruolo, uno scopo, un rapporto, un futuro. E’ la ricerca di molti. Mazzacurati indica, molto sinceramente, una via.







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