Negoziati di pace israelo-palestinesi tra speranze e timori. La riflessione di
padre Jaeger
Dopo 20 mesi di stallo, alle ore 16 italiane di oggi riprendono ufficialmente a Washington
i negoziati di pace israelo-palestinesi. Fra meno di due ore, dunque, le delegazioni
guidate dal premier israeliano, Benjamin Netanyahu, e dal presidente dell'Autorità
nazionale palestinese, Abu Mazen, si riuniranno di fronte al segretario di Stato,
Hillary Clinton. Ieri sera, intanto, in occasione di una cena di lavoro con le delegazioni,
il presidente statunitense, Barack Obama, si è detto fiducioso che i negoziati potranno
portare la pace in Medio Oriente entro un anno. Il servizio di Alessandro Gisotti:
Due Stati
l’uno accanto all’altro, in pace e in sicurezza: la speranza di raggiungere l’obiettivo
della pace in Medio Oriente riparte da Washington, nonostante dalla Cisgiordania giungano
notizie di nuovi atti di violenza. Dopo l’uccisione di quattro coloni vicino Hebron,
martedì scorso, ieri Hamas ha rivendicato un agguato in cui sono rimaste ferite due
persone. Attacchi deplorati da Obama, Abu Mazen e Netanyahu uniti nell’affermare che
gli estremisti non riusciranno a sabotare il processo di pace. Il presidente americano
ha espresso l’auspicio che i negoziati possano concludersi positivamente entro un
anno:
“The goal is a settlement, negotiated between
the parties…” “L’obiettivo – ha detto Obama – è un accordo negoziato
tra le parti che metta fine all’occupazione del 1967 e dia vita ad uno Stato palestinese
democratico e indipendente che viva accanto allo Stato israeliano e ai suoi vicini,
in pace e sicurezza”. Dal canto suo, il presidente palestinese Abu Mazen ha
chiesto “la fine dello spargimento di sangue nella regione” ed ha esortato Israele
a mantenere il congelamento degli insediamenti nei Territori Occupati. Netanyahu ha
invece tenuto a sottolineare l’intenzione di porre fine al conflitto una volta per
tutte. Ed ha quindi definito Abu Mazen un “partner per la pace”. Alla cena erano presenti
anche l’inviato del Quartetto per il Medio Oriente, Blair, il presidente egiziano,
Mubarak, e il re di Giordania Abdallah II:
“Time is not on our side…” “Il
tempo – ha constatato il sovrano hashemita – non è dalla nostra parte. Per questo
non dobbiamo disperdere le energie nell’affrontare le questioni più delicate”. L’avvio
dei negoziati diretti viene salutata oggi con un certo scetticismo da parte sia della
stampa araba che da quella israeliana: pesano soprattutto l’ombra del terrorismo e
la questione degli insediamenti. Intanto, stamani, il portavoce di Hamas ha definito
i negoziati “illegali” e “destinati al fallimento”. Dei negoziati, parlerà invece
stasera il leader del movimento sciita libanese Hezbollah, Hasan Nasrallah.
Il
presidente americano, Barack Obama, ha dunque affermato che è possibile raggiungere
la pace in Medio Oriente entro un anno. Alessandro Gisotti ha chiesto a padre
David Jaeger, della Custodia di Terra Santa, se questa ipotesi sia realizzabile,
nonostante le difficoltà sul terreno:
R. – E’ possibile
certamente, perché non solo i problemi sono conosciuti, ma in sostanza anche le soluzioni.
Le bozze dell’accordo di pace si troverebbero nei cassetti ormai da vari anni. Quello
che è mancato, finora, soprattutto non sono state le bozze, i testi, le soluzioni
o le idee: è la volontà di firmarle, queste risoluzioni.
D. – Quali
sono, secondo lei, i punti su cui le parti possono più facilmente trovare un accordo
e dunque cercare di raggiungere una intesa finale?
R. – Per mettere
fine al conflitto storico, c’è naturalmente la questione dei profughi palestinesi
delle guerre del 1948 e del 1967, ma soprattutto del ’48; su questo punto, una soluzione
non può essere – in realtà – semplicemente bilaterale, perché deve coinvolgere anche
gli Stati che effettivamente ospitano grande parte di questi profughi: Giordania,
Siria e soprattutto Libano, dove è drammatica la situazione dei palestinesi nei campi
profughi. Solo recentemente, la legislatura libanese ha deciso di dare agli abitanti
dei campi profughi, che sono già di terza e quarta generazione, la possibilità di
cercare lavoro in Libano, sulla stessa base di lavoratori stranieri. Qui ci dovrà
essere uno sforzo multilaterale.
D. – A Washington, ovviamente, c’è
un grande assente: Hamas. Quanto complica questa assenza, questa opposizione?
R.
– Il suo dominio di fatto sulla Striscia di Gaza è sintomo dell’assenza di pace. Dal
momento in cui ci sarà un Trattato di pace tra Israele e l’Olp, Hamas perderà ogni
legittimazione. Per cui è chiaro che si oppone al Trattato di pace e sta facendo di
tutto per far fallire i negoziati. Realizzare, ottenere il Trattato di pace priverà
gli estremisti – nel caso specifico, Hamas – di ogni legittimazione presso la popolazione.
Questo è l’unico modo di farlo, perché è proprio l’assenza di pace, il perdurare del
disagio vissuto dalla popolazione palestinese che dà forza all’organizzazione armata.