Al Festival di Venezia il film "Miral", storia difficile di una bambina in Medio Oriente
“Miral” del regista americano Julian Schnabel è in concorso oggi a Venezia e esce
domani sugli schermi italiani: non ci sono giorni migliori per offrire al pubblico
la storia vera e difficile di una bambina in Medio Oriente raccontata nel libro, parzialmente
autobiografico, “La strada dei fiori di Miral” della giornalista palestinese Rula
Jebreal, dal quale il film è fedelmente tratto. Il servizio di Luca Pellegrini:
Nel giorno
in cui a Washington eterni belligeranti si ritrovano per parlare nuovamente di pace,
Julian Schnabel, con intuito d’artista e cinematografica profezia, arriva in concorso
a Venezia con Miral che sugli inapplicati accordi di Oslo del 1993 distende i suoi
titoli di coda. E’ rimasto a suo tempo colpito e affascinato, il regista americano
nonché pittore che ha al suo attivo la fama di un bizzarro carattere, dal libro autobiografico
che la giornalista palestinese Rula Jebreal ha scritto, inserendo le sue personali
vicende e esperienze nei fatti tragici che avvolgono il Medio Oriente dal 1948 al
1994. Un mondo fatto di terra arida, acqua preziosa, secolari rivalità, molto sangue
versato su entrambi i fronti, cumuli di odio e di rabbia e pochissime sacche di speranza.
Un mondo in cui Schnabel, nel corso delle riprese, dice di essere stato testimone
“della lotta tra l’umanità e l’ideologia”. Miral, la protagonista, il cui nome è quello
di un fiore rosso assai comune che cresce spontaneo e numeroso in Palestina, ha soli
sette anni quando la si incontra per la prima volta. Sono i suoi occhi – quindi gli
occhi di Rula che, come lei afferma, possono raccontare soltanto ciò che si è visto
perché in Medio Oriente non esiste spazio per l’immaginazione – occhi prima di bambina,
poi di adolescente e di donna, che ci aiutano a scoprire la storia, tutta vera, attraverso
altre donne, palestinesi e israeliane. Un sicuro pregio, questo dell’aspetto femminile
della carità e della guerra, della passione e della lealtà. Donne che vivono e soffrono
per concedersi almeno il sogno di un futuro vivibile, anche per le generazione a venire.
Così si scopre la meravigliosa parabola di Hind Husseini, scomparsa nel 1994, che
incontra cinquant’anni prima cinquanta orfani sulla strada di Gerusalemme, prima avvisaglia
dei tempi che saranno e, come una samaritana buona, li porta a casa con sé e fonda
poi un convitto femminile, la sua eredità, ancora oggi attivo, credendo nell’istruzione
come via indispensabile al dialogo, ossia credendo nella purezza dei bambini. Anche
se le crepe dell’ostilità si insinuano in tutte le mura ed è difficile, proprio lì,
nutrire ogni giorno i cuori di questo ideale. Tanti altri personaggi accompagnano
Miral verso la maturità, verso il dolore, verso l’amore e l’odio, attraverso l’Intifada,
l’illusione, il carcere, la perdita delle persone care, verso l’Italia, ricollegandosi
questo nome di finzione a quello vero della sua creatrice. Eccessivamente autocelebrativo
sul finire, meno graffiante e inaspettato rispetto ad altri film cui Schnabel ci ha
abituati, forse per la delicatezza, anche politica, del tema trattato e per il rispetto
alla verità di una vita, “Miral” è diretto con ragione e sentimento e potrebbe essere
un buon inizio proiettarlo in questi giorni alla Casa Bianca.