Incertezza in Iraq dopo il discorso di Obama sul ritiro delle truppe da combattimento
Non è stato una proclamazione di vittoria il discorso alla nazione con il quale il
presidente statunitense Barack Obama ha annunciato, stanotte, la fine della “missione
di combattimento” in Iraq. Il capo della Casa Bianca ha ricordato che gli “Stati Uniti
hanno pagato un prezzo enorme per mettere il futuro del Paese nelle mani del suo popolo:
adesso - ha spiegato - è giunto il momento di voltare pagina”. A rimarcare il momento
storico per gli iracheni, è giunto poi stamani nel Paese del Golfo il segretario Usa
alla Difesa, Gates, in un periodo in cui è comunque alta - tra la gente - la preoccupazione
per il domani, già espressa anche dalla Chiesa locale caldea. Sulle parole di Obama,
il servizio di Elena Molinari:
Non ha detto
proprio “missione compiuta” Barack Obama, ieri sera, per non essere smentito dai fatti.
Il presidente Usa ha, però, voluto sottolineare che il ritiro di oltre 100 mila soldati
americani dall’Iraq è un momento storico. Con il suo discorso, dallo Studio Ovale,
il capo della Casa Bianca ha poi voluto evidenziare come, richiamando le truppe da
combattimento, abbia mantenuto una promessa elettorale. Il popolo iracheno ha adesso
la responsabilità per la sicurezza del suo Paese - ha detto Obama - e dopo sette anni
di guerra per gli americani è ora di voltare pagina e concentrarsi su altri fronti.
Prima di tutto ha elencato la creazione di posti di lavoro in patria, ma anche la
lotta continua ad Al Qaeda in Afghanistan. Obama si è, però, guardato dal dichiarare
vittoria in un Paese come l’Iraq, dove rimangono comunque 50 mila soldati Usa che
affiancano ogni giorno gli iracheni in operazioni antiterrorismo. “Dobbiamo guadagnare
la vittoria attraverso il successo dei nostri partner e la forza della nostra nazione”,
ha concluso Obama, invitando poi gli iracheni a formare un governo con urgenza.
“Mettere
fine alla guerra non è solo interesse dell'Iraq: è anche interesse dell'America”,
ha detto Obama dopo sette anni di presenza statunitense nel Paese del Golfo e ricordando
pure le difficoltà in Afghanistan e la crisi economica ancora in atto. Sul significato
del discorso del presidente Usa, ascoltiamo Ferdinando Fasce, americanista
e docente di Storia contemporanea all’Università di Genova, intervistato da Giada
Aquilino:
R. - Vuol
dire disimpegno e intenzione di tener fede alla promessa di lasciare che la questione
irachena sia gestita dagli iracheni medesimi. I termini, però, di questo disimpegno
- e queste sono osservazioni critiche che gli sono venute, ad esempio, dalla rivista
“The Nation” stamattina - sono ancora tutt’altro che chiari. Ci sono ancora 50 mila
soldati statunitensi sul territorio e c’è lo spettro di quella famosa immagine dei
cosiddetti “consiglieri” all’epoca di Kennedy per il Vietnam. E’ chiaro comunque che
la situazione è profondamente diversa. La cosa più importante del discorso mi pare
sia stata, in fondo, la presa d’atto che questa è stata un’avventura mal pensata e
che è bene che si cerchi di trovare una soluzione affidata prima di tutto alla capacità
degli iracheni di autogovernarsi.
D. - Obama ha esortato i leader iracheni
a formare rapidamente un governo, che finora non è arrivato. Quali ostacoli ci sono?
R.
- Sono legati ad una profonda storia di divisione e di difficoltà, che era ben nota
prima dell’intervento. Non bisogna dimenticarlo. Ora comunque non c’è più la dittatura
e questo è un elemento da non sottovalutare. Ma i dati indicano che la situazione
sul piano materiale è ancora drammatica: ad esempio l’elettricità che hanno a disposizione
gli iracheni; durante la giornata hanno una media di elettricità che è di 15 ore e
mezza…
D. - La fine della guerra in Iraq - ha detto Obama - consentirà
agli Stati Uniti di investire altrove il denaro speso nel conflitto. E’ un riferimento
all’impegno in Afghanistan, per cui è previsto un ritiro a cominciare dal luglio 2011,
ma - come ha spiegato sempre Obama - in base alle condizioni sul terreno...
R.
- E’ un riferimento a questo, ma è anche - e non dimentichiamolo - un riferimento
all’impegno sul piano interno, perché Obama ha parlato chiaramente. Ora la guerra
è in casa; la guerra è la tuttora drammatica situazione economica; la guerra è la
recessione che, da più parti si dice, è una depressione. Questo mi è parso l’altro
elemento significativo del discorso: il tentativo cioè di passaggio dalla dimensione
internazionale a quella interna e la sottolineatura di un merito - che non si può
negare - e che è dovuto al fatto che con la nuova legge sanitaria ci sono comunque
più coperture e c’è anche una nuova sensibilità nei confronti degli stessi soldati
- donne e uomini coinvolti - nei confronti dei quali Obama ha speso una parte consistente
del suo discorso.