2010-09-01 14:44:04

Incertezza in Iraq dopo il discorso di Obama sul ritiro delle truppe da combattimento


Non è stato una proclamazione di vittoria il discorso alla nazione con il quale il presidente statunitense Barack Obama ha annunciato, stanotte, la fine della “missione di combattimento” in Iraq. Il capo della Casa Bianca ha ricordato che gli “Stati Uniti hanno pagato un prezzo enorme per mettere il futuro del Paese nelle mani del suo popolo: adesso - ha spiegato - è giunto il momento di voltare pagina”. A rimarcare il momento storico per gli iracheni, è giunto poi stamani nel Paese del Golfo il segretario Usa alla Difesa, Gates, in un periodo in cui è comunque alta - tra la gente - la preoccupazione per il domani, già espressa anche dalla Chiesa locale caldea. Sulle parole di Obama, il servizio di Elena Molinari:RealAudioMP3

Non ha detto proprio “missione compiuta” Barack Obama, ieri sera, per non essere smentito dai fatti. Il presidente Usa ha, però, voluto sottolineare che il ritiro di oltre 100 mila soldati americani dall’Iraq è un momento storico. Con il suo discorso, dallo Studio Ovale, il capo della Casa Bianca ha poi voluto evidenziare come, richiamando le truppe da combattimento, abbia mantenuto una promessa elettorale. Il popolo iracheno ha adesso la responsabilità per la sicurezza del suo Paese - ha detto Obama - e dopo sette anni di guerra per gli americani è ora di voltare pagina e concentrarsi su altri fronti. Prima di tutto ha elencato la creazione di posti di lavoro in patria, ma anche la lotta continua ad Al Qaeda in Afghanistan. Obama si è, però, guardato dal dichiarare vittoria in un Paese come l’Iraq, dove rimangono comunque 50 mila soldati Usa che affiancano ogni giorno gli iracheni in operazioni antiterrorismo. “Dobbiamo guadagnare la vittoria attraverso il successo dei nostri partner e la forza della nostra nazione”, ha concluso Obama, invitando poi gli iracheni a formare un governo con urgenza.

“Mettere fine alla guerra non è solo interesse dell'Iraq: è anche interesse dell'America”, ha detto Obama dopo sette anni di presenza statunitense nel Paese del Golfo e ricordando pure le difficoltà in Afghanistan e la crisi economica ancora in atto. Sul significato del discorso del presidente Usa, ascoltiamo Ferdinando Fasce, americanista e docente di Storia contemporanea all’Università di Genova, intervistato da Giada Aquilino:RealAudioMP3

R. - Vuol dire disimpegno e intenzione di tener fede alla promessa di lasciare che la questione irachena sia gestita dagli iracheni medesimi. I termini, però, di questo disimpegno - e queste sono osservazioni critiche che gli sono venute, ad esempio, dalla rivista “The Nation” stamattina - sono ancora tutt’altro che chiari. Ci sono ancora 50 mila soldati statunitensi sul territorio e c’è lo spettro di quella famosa immagine dei cosiddetti “consiglieri” all’epoca di Kennedy per il Vietnam. E’ chiaro comunque che la situazione è profondamente diversa. La cosa più importante del discorso mi pare sia stata, in fondo, la presa d’atto che questa è stata un’avventura mal pensata e che è bene che si cerchi di trovare una soluzione affidata prima di tutto alla capacità degli iracheni di autogovernarsi.

D. - Obama ha esortato i leader iracheni a formare rapidamente un governo, che finora non è arrivato. Quali ostacoli ci sono?

R. - Sono legati ad una profonda storia di divisione e di difficoltà, che era ben nota prima dell’intervento. Non bisogna dimenticarlo. Ora comunque non c’è più la dittatura e questo è un elemento da non sottovalutare. Ma i dati indicano che la situazione sul piano materiale è ancora drammatica: ad esempio l’elettricità che hanno a disposizione gli iracheni; durante la giornata hanno una media di elettricità che è di 15 ore e mezza…

D. - La fine della guerra in Iraq - ha detto Obama - consentirà agli Stati Uniti di investire altrove il denaro speso nel conflitto. E’ un riferimento all’impegno in Afghanistan, per cui è previsto un ritiro a cominciare dal luglio 2011, ma - come ha spiegato sempre Obama - in base alle condizioni sul terreno...

R. - E’ un riferimento a questo, ma è anche - e non dimentichiamolo - un riferimento all’impegno sul piano interno, perché Obama ha parlato chiaramente. Ora la guerra è in casa; la guerra è la tuttora drammatica situazione economica; la guerra è la recessione che, da più parti si dice, è una depressione. Questo mi è parso l’altro elemento significativo del discorso: il tentativo cioè di passaggio dalla dimensione internazionale a quella interna e la sottolineatura di un merito - che non si può negare - e che è dovuto al fatto che con la nuova legge sanitaria ci sono comunque più coperture e c’è anche una nuova sensibilità nei confronti degli stessi soldati - donne e uomini coinvolti - nei confronti dei quali Obama ha speso una parte consistente del suo discorso.







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