Nella storica sala Grande al Lido di Venezia, dinanzi ancora alla voragine dei lavori
per il nuovo Palazzo del Cinema di cui si paventano le sorti, si apre questa sera,
per la prima volta alla presenza del presidente della Repubblica italiana, Giorgio
Napolitano, la 67.ma Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia: ottima
rappresentanza internazionale, più attenzione agli autori che alla superficiale vacuità
dei nomi o all’imposizione di interessi commerciali, forse anche alcune sorprese e,
si spera, nessuna casalinga polemica. Il servizio di Luca Pellegrini:
Si scoprirà
questa sera, con il film che è stato scelto per la cerimonia inaugurale veneziana,
che il palcoscenico ove corpi eterei e ben allenati piroettano e vestono tutù, non
è quel luogo di delizie e grazia che la danza classica ci porta a sognare: Black swan
di Darren Aronofsky parte dalla leggenda incantata del cigno bianco e del cigno nero,
così trasfigurata da Tcaikovsky, per addentrarsi nei lati più oscuri e insidiosi dell’animo,
cogliendo paure e gelosie di artisti e non solo. Ma se l’onore dell’apertura, quando
sarà anche presentata la giuria presieduta dall’estroso e imprevedibile Quentin Tarantino,
è stato dato così all’America, quest’anno assai presente al Lido ma con opere legate
più all’indipendenza e all’autorialità che alla produzione glamour hollywoodiana,
e se il mondo, tutto il mondo, è assai ben rappresentato nelle decine di titoli nelle
diverse sezioni, un dato non è sfuggito a coloro che la Mostra veneziana la conoscono
a fondo: tra lungometraggi, medi e corti, i film italiani sono in totale ben quarantuno.
C’è chi, per questo, è arrivata a definirla una mostra autarchica, chi ha sollevato
problemi economici o condizionamenti politici, per giustificare il dato. Abbiamo chiesto
un parere a Gloria Satta, responsabile delle pagine culturali
e di spettacolo del “Messaggero”, profonda conoscitrice di festival cinematografici.
“E’
impossibile che una mostra in Italia non tenga presente la realtà del cinema italiano.
Del resto, anche a Cannes la presenza francese è fortissima, a Berlino i film tedeschi
sono numerosi. Non trovo che ci sia motivo di scandalizzarsi, trovo anzi che sia un'ottima
trovata da parte della Mostra perché è una fotografia della situazione attuale del
cinema italiano che ha moltissime anime, che ha parecchie potenzialità, alcune espresse,
alcune in via di espressione, alcune ancora da esprimere e, quindi, è giusto che la
Mostra ne tenga conto. Definirla, poi, mostra “autarchica” mi sembra un po’ riduttivo;
ci sono film da tutto il mondo, sono più di trenta Paesi rappresentati. Quindi, limitarsi
alla presenza italiana, mi sembra un po’ ingeneroso”.
In concorso quattro
registi italiani: Ascanio Celestini, Saverio Costanzo, Mario Martone e Carlo Mazzacurati.
Quattro stili diversi, quattro anime del cinema. Cosa rappresentano in una vetrina
internazionale come la Mostra?
“Dalle premesse sembra che sia una rappresentazione
molto ricca delle varie anime del cinema italiano. C’è il grande affresco storico
che è quello di Martone che rivisita il Risorgimento. Siamo in area di celebrazioni
del centocinquantenario dell’unità d’Italia, quindi, è assolutamente pertinente. Abbiamo
Mazzacurati che racconta una storia drammatica in cui sono in ballo i sentimenti.
Abbiamo Costanzo che rifà uno dei titoli della letteratura italiana più fortunati
degli ultimi anni, “La solitudine dei numeri primi”: è una storia dura, una storia
di giovinezza difficile. E Celestini, da quel che sappiamo, affronta un tema fortissimo
come la malattia mentale e il manicomio”.
Nella sezione Controcampo
italiano troviamo ben nove registe: una presenza femminile significativa.
“Mi
sembra un dato molto significativo, molto incoraggiante. E’ vero che il cinema è fatto
da uomini e da donne e meno male che almeno la Mostra di Venezia se ne accorge e le
prende in considerazione. Devo dire che era ora che il cinema si accorgesse che ci
sono tante donne che hanno molte cose da dire”.
Il cinema italiano riflette,
inoltre, sulla sua storia: oltre alla curiosa retrospettiva dedicata al comico e ai
suoi protagonisti e all’omaggio, con la preapertura di ieri sera in Campo San Polo
a Venezia, a Vittorio Gassman a dieci anni dalla scomparsa, Giuseppe Tornatore ricorda,
con un originale ritratto, un grande produttore, Goffredo Lombardo, la cui vita è
stata segnata da indimenticabili sfide – basti pensare al Gattopardo viscontiano –
da profondi dolori e una provata fede cristiana. Quale valore ha questo documentario?
“La
grande crisi del cinema italiano ha coinciso con la sparizione dei grandi produttori.
Quindi, dietro le fortune e l’edificazione del cinema italiano ci sono delle grandissime
figure di produttori, non lo dimentichiamo. Quindi, l’omaggio di Tornatore a un grandissimo
come Goffredo Lombardo è quanto di più doveroso si possa immaginare. Non é soltanto
un tributo scontato, una celebrazione tra le tante: è veramente l’inchino della cultura,
non solo italiana, ma mondiale, a un personaggio di rilievo grandissimo”. (Montaggio
a cura di Maria Brigini)