In Venezuela, nell’indifferenza della comunità internazionale, tra giugno 2008 e agosto
2010 sono stati assassinati 122 sindacalisti od operatori che lavoravano nell'ambito
della difesa dei diritti dei lavoratori. La denuncia è contenuta in un rapporto del
Programma venezuelano di educazione-azione pro diritti umani (“Provea”) e del vicariato
per i diritti umani della diocesi di Caracas. L'elenco completo delle vittime può
essere consultato sul sito www.derechos.org.ve/proveaweb/?p=6059. Dall'analisi dei
dati del rapporto si evince che la stragrande maggioranza delle vittime sono state
uccise da sicari. Due i settori economici sullo sfondo di questo dramma: l'industria
edile e quella del petrolio. Il 42% degli omicidi sono avvenuti nello Stato di Bolivar,
nella regione sudorientale del Paese. In questa area abitano poco più di un milione
e 200 mila persone. Si tratta, in gran parte, di famiglie di lavoratori attratti dalle
grandi ricchezze idroelettriche, minerarie (bauxita e ferro) e dalla grande industria
“Siderúrgica del Orinoco”. Questa serie di violenze, paragonabile solo ai periodi
più difficili della Colombia e del Guatemala, ha avuto inizio alcuni anni fa ed è
continuata nell'indifferenza e nell'impunità. Il 2001 è l'anno della prima vittima,
Wilmer Velásquez. Pesanti, in particolare, i bilanci del 2006 con 23 vittime e del
2007 con 29 morti. Le organizzazioni che firmano il rapporto denunciano soprattutto
l’impunità che accompagna questi crimini. Una ricerca complementaria al dossier rileva,
infatti, che su 52 crimini registrati in 10 anni, sono stati individuati e puniti
i responsabili in solo 3 casi (5,7% del totale). “Questo rivela - si legge nella presentazione
del documento - l'esistenza di una situazione di alta impunità”. Rivela anche “l'assenza
di indagini sulle denunce che coinvolgono una presunta partecipazione nei crimini
di funzionari della polizia così come di differenti organizzazioni sindacali, mandanti
intellettuali degli assassini”. Le cause di questa strage strisciante e silenziosa
sono molteplici. II rapporto ne identifica le principali. In primo luogo, la situazione
di violenza generalizzata esistente da alcuni anni nel Paese sudamericano, più volte
denunciata dai vescovi. Una violenza che prospera anche perché accompagnata da un'impunità
endemica. Si ricorda che, secondo dati ufficiali del “Cuerpo de Investigaciones Científicas,
Penales y Criminalísticas”, nel 2008 sono stati compiuti 3 omicidi ogni due ore, in
pratica 14.467 in dodici mesi. I gruppi d'interesse che operano all'interno di alcuni
sindacati, come quello del settore edile, appaiono poi protetti da una legge che fa
dell'organizzazione sindacale l'ente chiamato a fornire il 75% della mano d'opera.
C’è dunque un "parallelismo sindacale” dilagante che snatura e minimizza i sindacati
tradizionali e storici, spesso molto critici con le politiche governative. Infine,
conseguenza delle realtà precedenti, la debolezza del movimento sindacale che, nonostante
la crescita numerica, non ha nessun peso contrattuale. Le organizzazioni che firmano
il rapporto chiedono, infine, al presidente della Repubblica, al procuratore generale
un "esplicito riconoscimento della gravità del problema”, “l'apertura di un ampio
dibattito sulle cause del fenomeno” e “il disegno di politiche che consentano un cambio
di rotta di una realtà che ha portato tanto dolore e lutti in numerose famiglie”.
(A cura di Luis Badilla)