2010-08-26 14:42:35

Cile. Minatori intrappolati a 700 metri di profondità: le speranze di mons. Quintana


In Cile, prosegue la drammatica vicenda dei 33 minatori intrappolati dal 5 agosto scorso nella miniera di San Josè a Copiapò, nel nord del Paese, a oltre 700 metri di profondità. I minatori, tutti in vita, sono stati informati ieri di dover aspettare più di due mesi prima di poter essere liberati. Intanto, due sonde permettono l’invio nel sottosuolo di liquidi e medicinali. Attorno a loro e alle loro famiglie, la solidarietà e il conforto della Chiesa cilena e di tutto il Cile, che ha accolto con gioia la notizia dei primi contatti stabiliti con loro la scorsa domenica, dopo 17 giorni di attesa, come racconta il vescovo di Copiapò, mons. Gaspar Francisco Quintana Jorquera, raggiunto telefonicamente da Linda Giannattasio: RealAudioMP3

R. – La noticia de saber que estaban vivos...
La notizia che erano vivi – che ci hanno comunicato attraverso uno scritto – è stata una gioia immensa per il cuore delle famiglie, per il resto del Paese e anche per la Chiesa diocesana di Copiapò. Questo dolore per noi è stata un’esperienza molto profonda di solidarietà umana.

D. – Come avete vissuto questi 17 giorni di attesa?

R. – Como un signo junto a la mina...
Come segno, vicino alla miniera di San Josè, in una cappella, avevamo posto l’immagine di Nuestra Señora de la Candelaria, che è la patrona dei minatori e anche quella di San Lorenzo, patrono dei minatori, affinché le famiglie, i colleghi di lavoro dei minatori potessero pregare lì accanto alla miniera. Io come vescovo, i sacerdoti e i religiosi, abbiamo celebrato una Messa e abbiamo avuto momenti di preghiera per rincuorare molte delle persone che stavano aspettando il ritorno dei loro cari. Questo periodo doloroso di 17 giorni di attesa è stata un'occasione di incontro per tutto il Paese, per le autorità di governo, per i partiti politici. E’ stato un motivo per incontrarci e per dimenticare un po’ le nostre differenze, per preoccuparci di portare in salvo i minatori. Tutti sappiamo che il mondo minerario è molto pericoloso. Quindi, questo deve servire affinché i governanti, gli imprenditori, i lavoratori diano più attenzione e prendano maggiori precauzioni per la sicurezza della vita dei minatori. Il minatore entra nella miniera e a volte non sa se ne uscirà vivo. Quindi, è stata un’occasione per annunciare in qualche modo la Dottrina sociale della Chiesa, in cui appare chiara la preoccupazione per la persona umana, per il lavoratore che ha diritto alla sicurezza e alla protezione, perché mai più si ripetano queste situazioni e perché si dia al lavoro umano la dignità che merita.

D. – A che punto sono le operazioni di soccorso in questo momento?

R. - Se han concentrado...
Si sono concentrate qui tutte le attrezzature più moderne del settore minerario: macchine molto sofisticate che hanno permesso il contatto con i minatori, a più di 700 metri di profondità; già si stanno inviando medicinali, cibo, trattamenti medici; son potute entrare anche le telecamere. Quindi, c’è comunicazione. E’ presente un’equipe multidisciplinare di medici e psicologi che stanno seguendo questa situazione e c’è già una comunicazione quasi diretta e fluida tra i minatori e le loro famiglie, attraverso scritti e per telefono.

D. – Quali sono ora le vostre maggiori preoccupazioni?

R. – La grande preocupacion...
La grande preoccupazione adesso è vedere lo stato di salute dei minatori che si stanno comunque alimentando, che sono seguiti da un gruppo di medici che si preoccupa per loro, e che sono accompagnati e protetti dalla scienza e anche dalla carità fraterna e dalla preghiera di tutta la Chiesa cilena. Il 18 settembre avremo l’immagine di Nuestra Señora del Carmen, la patrona del Paese, che poco più di due mesi fa è stata benedetta dal Santo Padre Benedetto XVI. Rimarrà con noi alcuni giorni e la porteremo nella miniera per presentare l’amore di Maria come madre che si preoccupa dei suoi figli.







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