Pakistan: ponte aereo Nato per soccorrere gli alluvionati
Il maltempo non dà tregua al Pakistan devastato dalle alluvioni da oltre quattro settimane.
Lasciando dietro di sé scenari apocalittici, le acque dal nord stanno refluendo verso
il meridione del Paese, radendo al suolo villaggi e campi ed ingrossando i letti dei
fiumi. Un autobus è stato travolto dalle correnti nei pressi di Khad Buzdar nel centro,
uccidendo 20 persone. L’allerta resta massima nella provincia meridionale del Sindh
dove cresce il numero degli sfollati, solo in parte accolti nei campi profughi. La
città di Shahdadkot è stata svuotata di oltre 100mila abitanti, 4 milioni invece gli
sfollati intorno al centro di Sukkar. Oggi a Washington incontro cruciale tra il FMI
ed esponenti del governo pakistano: al vaglio il piano aiuti e la ristrutturazione
del debito del Paese. Nonostante sia operativo da oggi il ponte aereo della Nato,
restano ancora milioni i civili non raggiunti dai soccorsi internazionali. Sentiamo
a questo proposito la testimonianza dalla città di Quetta, di padrePeter
Zago, missionario della Ong Vis. L’intervista è di Gabriella Ceraso
R. –
Proprio questa mattina abbiamo raccolto un centinaio di famiglie, a cui abbiamo dato
l’essenziale almeno per un mese: farina e olio per il chapati, il loro pane quotidiano,
le lenticchie e qualche medicina. Abbiamo bambini, bambine, ragazzi e ragazze e qualcuno
ha dei problemi dovuti all’acqua non pulita.
D. – Quante persone riuscite
a soccorrere nei vostri campi?
R. – Noi abbiamo 1500 famiglie. Qui le
famiglie hanno sette, otto figli almeno, quindi possiamo raggiungere 150 mila persone.
Abbiamo ricevuto parecchio aiuto dalla Germania, dalla nostra Opera salesiana di Vienna,
però se riusciamo ad avere di più, possiamo raggiungere specialmente gli sfollati
dal Sindh: abbiamo qui più di 100 famiglie che vengono da 850 km di distanza.
D.
– La comunità internazionale sta discutendo oggi di aumentare gli aiuti. Voi che cosa
potete constatare,vi arrivano?
R. – Qui le Nazioni Unite non ci sono.
Noi siamo privati. Io ho 80 mila euro e siamo gli unici che andiamo sul posto, che
prendiamo il nome delle famiglie che hanno bisogno. Ho dato incarico a questi grandi
empori locali. A loro diciamo: “Guardate, facciamo del bene ai vostri fratelli musulmani,
fatemi un buon prezzo” e loro mi preparano ogni giorno 50 porzioni di tutto. Io non
vedo nessun altro.
D. – Come conta di andare avanti, quando termineranno
questi fondi?
R. – Devo fermarmi, perché i fondi sono limitati.
D.
– A livello di organizzazione sanitaria, c’è allarme per malattie che si stanno diffondendo?
R.
– Al nord il colera ha già invaso. Per me sono più di 10 mila i morti, ma non li hanno
contati e non possono contarli. 25 mila soldati, che potrebbero aiutare, vengono tenuti
nello Swat, perché badino ai Talebani e quindi non c’è personale, non sono organizzati.
D.
– Alcune fonti anche dal Pakistan hanno detto di cristiani discriminati nella distribuzione
degli aiuti. E’ vero per lei?
R. – Sì, abbiamo delle prove, ma non da
noi. Noi non discriminiamo nessuno assolutamente. Se noi, però, avessimo delle famiglie
cristiane in mezzo a questa gente e venissero dei musulmani ad aiutare, nessun cristiano
sarebbe accettato. Per prima cosa ti chiedono a quale religione appartieni. E’ questa
la realtà: il Pakistan non è come i Paesi indonesiani, il Pakistan è veramente una
Repubblica islamica e quindi le minoranze trovano difficile sopravvivere, non solo
i cristiani, anche gli indù.