Gli scioperi continuano a scuotere il Sudafrica: la testimonianza di un missionario
Il mondo guarda con attenzione alla dilagante protesta in corso in Sudafrica, dove
i lavoratori del pubblico impiego sono in sciopero per avere miglioramenti salariali.
Ma la protesta ha un significato ben più ampio in una giovane democrazia, dove il
periodo dell’apartheid ha lasciato una pesante eredità per la nuova classe dirigente.
Giancarlo La Vella ha intervistato il padre stimmatinoGianni Piccolboni,
missionario per trenta anni nel Paese:
R. - E’ un
processo normale, di una democrazia che sta facendo i primi passi. Abbiamo avuto un
momento di euforia, non appena il Paese è stato liberato dal sistema dell'apartheid,
quindi c’era tutto un entusiasmo per le cose che sarebbero cambiate; poi le cose sono
andate più a rilento, perché alcune realtà non si sono verificate. Dal nostro punto
di vista, può essere anche questo, perché quando c’è un Governo - come era prima -
di apartheid, quindi dittatoriale in un modo o nell’altro, è più facile fare l’opposizione.
La politica propositiva è sempre più difficile, quindi un conto è essere all’opposizione,
ed un conto è poi essere alla guida di un Governo. Non ultimo c’è anche un circolo
di corruzione da parte dei Governi che forse non sono proprio all’altezza della situazione
di oggi.
D. - C’è il rischio che in Sudafrica si crei una spaccatura
pericolosa tra tessuto sociale e politica?
R. - Questo credo che si
stia già verificando. Credo che le masse si siano un po’ staccate, abbiano perso un
po’ di fiducia nei governanti. D’altra parte, dopo la caduta del sistema dell’apartheid,
c’è stata una certa corsa verso l’occidente, con la caduta di valori di riferimento.
Gli omicidi sono oggi all’ordine del giorno, le violenze non ne parliamo, abusi in
tutti i modi, sfruttamento, non parliamo poi dell’aborto. Ora il governante forse
non sta cogliendo il grido di disperazione che c’è da parte del popolo, il quale non
vede via d’uscita, non vede che ci sono miglioramenti nell’assetto sociale ed economico.
D.
- Dopo l’apartheid, come la Chiesa locale, i missionari, hanno contribuito al cambiamento
di questo Paese?
R. - I missionari si sono tutti prodigati in molte
istituzioni sociali, come le scuole e per creare una mentalità: non solo aspettarsi
dall’alto, ma anche essere artefici di questo futuro, di questo nuovo Sudafrica, la
nazione arcobaleno; poi l’assistenza ai ragazzi, creando delle possibilità di lavoro
con scuole professionali; poi anche l’assistenza medico-sanitaria, per quelli che
sono gli ammalati di Aids. Bisogna ricostruire nel tessuto morale della società.
D.
- Possiamo dire che è un periodo di difficoltà, ma che la speranza non è morta?
R.
- No, la speranza non è morta. Io sono convinto che abbiamo ancora della gente valida.
Abbiamo l’esempio di un grande uomo, che è stato Mandela, un uomo eccezionale con
un cuore e una visione meravigliosa. Finchè la sua ombra è presente, son convinto
ancora che qualcuno s’ispirerà a lui.