2010-08-21 16:00:44

Ritiro Usa dall'Iraq. Mons. Najim: la guerra ha creato distruzione e caos


Le truppe statunitensi che resteranno in Iraq continueranno a contrastare la presenza di Al Qaeda nel Paese del Golfo e non si limiteranno soltanto ad addestrare le forze locali. Lo ha affermato un portavoce del Pentagono, precisando che “nessuno ha dichiarato la fine della guerra”. L’organizzazione terroristica intanto ha rivendicato il sanguinoso attacco contro il centro di reclutamento dell’esercito avvenuto martedì scorso a Baghdad e costato la vita a 59 persone. Il merito al disimpegno totale dei soldati americani, che avverrà entro la fine del 2011, Antonella Palermo ha intervistato mons. Philip Najim, visitatore apostolico per i caldei in Europa.RealAudioMP3

R. – Questo ritiro è ovvio e deve essere effettuato, ma per un Paese che non ha né una stabilità di sicurezza, né una stabilità di un esercito nazionale forte, che ama la sua patria, che ama il suo Paese, che lavora e si sacrifica per il suo Paese, credo che questo ritiro, in questo momento, non faccia bene al futuro del Paese e non contribuisca a nulla. Non abbiamo un governo forte che possa attuare la sua responsabilità verso il popolo iracheno e non abbiamo un esercito stabile nazionale che possa proteggere il Paese e la sua sovranità, perciò credo che questa decisione non sarà a favore del popolo iracheno in questo momento.

D. - Cosa potrebbe, invece, essere a favore del popolo e del Paese?

R. – I danni sono stati fatti dalle truppe straniere che sono entrate e hanno invaso il Paese: danni gravissimi, danni che hanno rallentato il futuro e hanno creato una situazione anomala, non stabile. Perciò, queste nazioni che sono entrate in Iraq hanno il grave obbligo, la grave responsabilità di creare una situazione di sicurezza, di creare un esercito forte, un esercito nazionale che possa veramente proteggere la nazione irachena e il popolo iracheno. Dopodiché noi possiamo anche lavorare insieme per poter creare un futuro migliore per il popolo iracheno e porre fine a questa sofferenza. Il popolo iracheno deve aver fiducia nel suo Stato. Tutto questo, la famiglia irachena oggi non lo trova perciò prende tutto quello che ha e se ne va, lascia il Paese. Mancano i medici, mancano gli ingegneri, mancano i professionisti.

D. – Come sta vivendo la comunità cristiana questa situazione?

R. – La comunità cristiana vive come tutte le altre comunità perché la situazione del Paese è la stessa per tutti. Vediamo questa sofferenza della comunità cristiana perché rappresenta una minoranza. Tantissimi di loro hanno dovuto emigrare per trovare una vita migliore. Qui la Chiesa deve essere sostenuta e deve essere aiutata. La comunità cristiana deve essere riconosciuta perché fa parte delle comunità irachene, fa parte dello Stato dell’Iraq e ha contribuito, sempre, durante tutta la storia dello Stato iracheno, alla costruzione del Paese. Perciò, dobbiamo dargli questa possibilità per poter ricostruire il Paese insieme ai nostri fratelli musulmani e andare avanti.

D. - A che cosa è servita questa guerra?

R. – A distruggere l’Iraq, a distruggere una nazione intera e a distruggere un popolo intero.

D. – E’, quindi, secondo lei, davvero finita la guerra?

R. – No, la guerra non è finita. La guerra ha creato immigrazione, disagio, caos; ha creato morte, sangue, sofferenza, e ha tolto dal cuore del popolo iracheno la fiducia nella comunità internazionale. (Montaggio a cura di Maria Brigini)







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