Sugli schermi in Italia, "Pietro", storia di emarginazione in una società distratta
Presentato in concorso al recente Festival di Locarno, è uscito ieri sugli schermi
italiani “Pietro” di Daniele Gaglianone: storia tragica e disperata di emarginazione
in una società inaridita e distratta. Una prova coraggiosa e lucida di cinema che
racconta la realtà per cercare una cura efficace ai suoi mali. Il servizio di Luca
Pellegrini:
Pietro, portatore
di handicap e di impietosi presagi, nel suo vagabondare per la città che lo rifiuta,
lo sfrutta, lo umilia, non cerca commiserazione: l’indifferenza è, in fondo, la sua
arma di sopravvivenza. Lo si capisce subito, quando un gruppo di giovinastri massacra
di botte un barbone e lui si gira dall’altra parta. E’ una società corrotta e sudicia,
senza più codici morali e civili, anch’essa spesso sopraffatta e dunque sulla difensiva,
quella che lo accoglie a forza soltanto perché non lo può cancellare, eliminare: anzi,
come fa il fratello tossicodipendente e pure lui diversamente alla deriva, ne sfrutta
la mente dissestata per divertirsi e far divertire. Pietro, nelle parole di uno dei
suoi coraggiosi produttori, Andrea Parena, “è la storia di relazioni basate sulla
violenza, dentro una società in cui il disprezzo striscia e si insinua sempre più
a fondo e l’unico criterio è quello della prova di forza, dove non esiste alcuno spazio
per la condivisione”. Breve nella durata – appena ottantadue minuti – stringato nella
sceneggiatura, livido nella fotografia, appuntito come il coltello che Pietro userà
alla fine, credendo di aprire il varco a nuove forme di sopravvivenza e precipitando,
invece, anche lui nella bolgia dei colpevoli e derelitti, il film di Daniele
Gaglianone va bevuto tutto d’un fiato, come uno sciroppo amaro che, immettendo
il virus in circolazione, dovrebbe assicurare la creazione di anticorpi. All’inizio
può sembrare un’operazione piuttosto forzata, di nicchia, perché disperatamente elitaria,
e soprattutto senza un futuro commerciale: chi oserebbe, recandosi al cinema, guardare
in faccia una realtà così sgradevole, scoprendo di esserne talvolta autore? Eppure
la denuncia fa bene, come l’amarezza della medicina. Gaglianone osserva e indirettamente
giudica: non è una prassi difensiva, è uno stile. Se non una necessità. Gli chiediamo:
perché “Pietro” proprio ora al cinema?
R. – “Pietro” è un film che
nasce da una necessità, da uno stato d’animo di impotenza a cui ho cercato di reagire
in qualche modo, mettendo in scena la storia di una persona fragile, e purtroppo la
fragilità e la gentilezza di questi tempi sono sinonimo di debolezza e di sottomissione;
la storia di questa persona che, in qualche modo, comunque sceglie di reagire. E’
una reazione che ci pone di fronte a dei dilemmi grossi, perché è una reazione che,
in un certo senso, comprendiamo ma che è anche fortemente inaccettabile.
D.
– La confessione finale del protagonista, le sue idee sconnesse, sono rivolte a una
poltrona vuota: non c’è proprio nessuno, oggi, nella società cosiddetta civile, disposto
ad ascoltare Pietro?
R. – Io credo che quel momento sia un momento di
grande umanità, di grande tenerezza; credo che sia più che una confessione, credo
che sia anche un appello a qualcuno che forse, in quel momento, non è di fronte a
Pietro ma che forse c’è, da qualche parte. E’ comunque già di per sé un atto di speranza:
qualcuno ascolterà, probabilmente!
D. – Dopo aver visto il film, il
cuore di uno spettatore può cambiare?
R. – Io spero che lo spettatore
che scelga di vedere “Pietro” alla fine si riconosca in parte in qualcosa di apparentemente
così lontano da lui. Riconoscere in strada i tanti possibili Pietro, sempre più numerosi,
che ci sono in giro … Io penso che ci sia una solitudine, nel nostro mondo, veramente
incredibile! Credo di non aver mai sentito tanta solitudine intorno a me come in questo
periodo...