2010-08-20 12:07:04

Sugli schermi in Italia, "Pietro", storia di emarginazione in una società distratta


Presentato in concorso al recente Festival di Locarno, è uscito ieri sugli schermi italiani “Pietro” di Daniele Gaglianone: storia tragica e disperata di emarginazione in una società inaridita e distratta. Una prova coraggiosa e lucida di cinema che racconta la realtà per cercare una cura efficace ai suoi mali. Il servizio di Luca Pellegrini:RealAudioMP3

Pietro, portatore di handicap e di impietosi presagi, nel suo vagabondare per la città che lo rifiuta, lo sfrutta, lo umilia, non cerca commiserazione: l’indifferenza è, in fondo, la sua arma di sopravvivenza. Lo si capisce subito, quando un gruppo di giovinastri massacra di botte un barbone e lui si gira dall’altra parta. E’ una società corrotta e sudicia, senza più codici morali e civili, anch’essa spesso sopraffatta e dunque sulla difensiva, quella che lo accoglie a forza soltanto perché non lo può cancellare, eliminare: anzi, come fa il fratello tossicodipendente e pure lui diversamente alla deriva, ne sfrutta la mente dissestata per divertirsi e far divertire. Pietro, nelle parole di uno dei suoi coraggiosi produttori, Andrea Parena, “è la storia di relazioni basate sulla violenza, dentro una società in cui il disprezzo striscia e si insinua sempre più a fondo e l’unico criterio è quello della prova di forza, dove non esiste alcuno spazio per la condivisione”. Breve nella durata – appena ottantadue minuti – stringato nella sceneggiatura, livido nella fotografia, appuntito come il coltello che Pietro userà alla fine, credendo di aprire il varco a nuove forme di sopravvivenza e precipitando, invece, anche lui nella bolgia dei colpevoli e derelitti, il film di Daniele Gaglianone va bevuto tutto d’un fiato, come uno sciroppo amaro che, immettendo il virus in circolazione, dovrebbe assicurare la creazione di anticorpi. All’inizio può sembrare un’operazione piuttosto forzata, di nicchia, perché disperatamente elitaria, e soprattutto senza un futuro commerciale: chi oserebbe, recandosi al cinema, guardare in faccia una realtà così sgradevole, scoprendo di esserne talvolta autore? Eppure la denuncia fa bene, come l’amarezza della medicina. Gaglianone osserva e indirettamente giudica: non è una prassi difensiva, è uno stile. Se non una necessità. Gli chiediamo: perché “Pietro” proprio ora al cinema?

R. – “Pietro” è un film che nasce da una necessità, da uno stato d’animo di impotenza a cui ho cercato di reagire in qualche modo, mettendo in scena la storia di una persona fragile, e purtroppo la fragilità e la gentilezza di questi tempi sono sinonimo di debolezza e di sottomissione; la storia di questa persona che, in qualche modo, comunque sceglie di reagire. E’ una reazione che ci pone di fronte a dei dilemmi grossi, perché è una reazione che, in un certo senso, comprendiamo ma che è anche fortemente inaccettabile.

D. – La confessione finale del protagonista, le sue idee sconnesse, sono rivolte a una poltrona vuota: non c’è proprio nessuno, oggi, nella società cosiddetta civile, disposto ad ascoltare Pietro?

R. – Io credo che quel momento sia un momento di grande umanità, di grande tenerezza; credo che sia più che una confessione, credo che sia anche un appello a qualcuno che forse, in quel momento, non è di fronte a Pietro ma che forse c’è, da qualche parte. E’ comunque già di per sé un atto di speranza: qualcuno ascolterà, probabilmente!

D. – Dopo aver visto il film, il cuore di uno spettatore può cambiare?

R. – Io spero che lo spettatore che scelga di vedere “Pietro” alla fine si riconosca in parte in qualcosa di apparentemente così lontano da lui. Riconoscere in strada i tanti possibili Pietro, sempre più numerosi, che ci sono in giro … Io penso che ci sia una solitudine, nel nostro mondo, veramente incredibile! Credo di non aver mai sentito tanta solitudine intorno a me come in questo periodo...







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