A Sassari i funerali di Cossiga: il ricordo del vescovo di Nuoro e del senatore Pera
Un lunghissimo applauso ha accolto stamani nella chiesa di San Giuseppe, a Sassari,
l’arrivo del feretro di Francesco Cossiga, avvolto nel tricolore e nella bandiera
dei quattro mori bendati, il simbolo del popolo sardo. A rendere onore al presidente
emerito della Repubblica italiana, morto martedì scorso all'età di 82 anni, anche
il picchetto d'onore della Brigata Sassari. Le esequie sono state concelebrate dall’arcivescovo
di Sassari, mons. Paolo Virgilio Atzei e dal vescovo di Nuoro, mons. Pietro Meloni.Prima di morire il presidente emerito Cossiga aveva chiesto che i funerali si
tenessero in forma privata a Sassari. Su questa decisione si sofferma al microfono
di Massimiliano Menichetti proprio mons. Pietro Meloni:
R. – Io l’ho
interpretata come un ritorno alla culla della sua famiglia e alla culla della comunità
cristiana, dove il parroco e i sacerdoti lo hanno guidato nella Chiesa. Ha imparato
anche la bellezza dello stare insieme agli altri, della preghiera, della meditazione
e poi, quando ha scoperto in sé il dna della politica, ha approfondito la dottrina
sociale della Chiesa, si è impegnato per la giustizia, per il bene comune...
D.
– Mons. Meloni, tratto anche molto forte del Presidente Cossiga è la sua appartenenza
alla Sardegna..
R. – Certo sì, un po’ tutti i sardi sono famosi per
questo. Quando poteva, come già faceva Antonio Segni che tornava quasi ogni settimana,
così Cossiga tornava nel suo ambiente e in particolare nella sua parrocchia. La prima
visita era sempre nella chiesa, s’inginocchiava, poi chiedeva anche la Confessione
e spesso chiedeva la corona del Rosario e chiedeva preghiere. Poi si fermava con i
giovani con grande simpatia.
D. – Oggi l’abbraccio dei suoi conterranei...
R.
– C’era la strada piena di gente che non è potuta entrare nella chiesa ... gli sono
stati molto vicini.
D. – Quando eravate piccoli, eravate ministranti
nella stessa parrocchia, vuole condividere con noi questo ricordo?
R.
– Io ero un po’ più piccolo, lui aveva qualche anno più di me. C’era una distinzione:
noi avevamo la veste nera e i più grandi la veste rossa. Si vantava quando io sono
diventato vescovo che lui mi aveva insegnato a servire la Messa. In un certo senso,
se ero diventato vescovo era merito anche suo. Quando poi lui mi accompagnò - perché
era senatore eletto nel territorio dove io sono diventato vescovo la prima volta -
mi accompagnava dappertutto, in macchina e senza parlarmi mi faceva un segnale con
la mano ad indicarmi che dovevo essere un po’ severo ed esigente come vescovo.
D.
– Mons. Meloni, una parabola difficile fu la vicenda di Aldo Moro, la morte di Aldo
Moro...
R. – E’ rimasto nel silenzio, ha versato lacrime sincere proprio
dinnanzi alla tragedia di Moro, che è capitata proprio a lui che forse era uno dei
migliori amici e suo discepolo; lui stesso ha confidato, che non dormiva per anni
e non dormiva la notte, si svegliava di soprassalto pensando di essere stato lui il
massimo responsabile, che poi non era vero. I carnefici credo che avessero già prescelto
la vittima sacrificale.
D. – Che cosa lascia, secondo lei, il Presidente
Cossiga all’Italia e alla Sardegna?
R. – Virgilio dice che “i figli
imparano dai padri dopo che i padri non ci sono più”, quindi il meglio del suo messaggio
e della sua testimonianza credo che rimarrà come un seme che porterà frutto e proprio
per la testimonianza migliore, perché si potranno dimenticare - anche se certe volte
erano simpatiche - le sue battute taglienti, però la sua coerenza, la sua fede, la
sua testimonianza civile e culturale, questo credo che susciterà imitazione.
Sulla
figura del presidente emerito Cossiga ascoltiamo anche il senatore Marcello Pera,
intervistato da Luca Collodi:
R. – Io ritengo
che sia stata una figura importante della storia della Repubblica italiana e che sia
stato un grande personaggio, un personaggio che ha vissuto pagine tragiche della Repubblica
e ha anche vissuto il passaggio dalla cosiddetta “Prima Repubblica” alla sempre più
cosiddetta “Seconda Repubblica”. Credo che fosse un uomo di fede sincera. Era anche
un grande ammiratore dell’attuale Pontefice, che conosceva bene quando era cardinale,
di cui ammirava due cose: la fede e la dottrina molto profonda.
D. –
Molti ricordano Cossiga come un ‘picconatore’, ma alcuni osservano che il suo ‘picconare’
va interpretato come un servizio allo Stato...
R. – Sì, c’era qualche
cosa di fondo e di profondo nelle sue ‘picconature’, cioè la circostanza che egli
viveva un sistema politico che si stava disgregando e un sistema istituzionale che
non riusciva ad assecondare la nascita di una nuova Repubblica. In questa lucidità,
in questa drammatica lucidità, tra l’analisi che era precisa e il modo con cui reagiva,
consisteva in parte la sua personalità. Ha anche inciso nei modi con cui s’interpreta
la funzione del presidente della Repubblica che, dopo di lui, è sempre stata più da
protagonista, anche più da interprete della situazione politica e da guida degli equilibri
politici. Questo si deve ad una rottura che lui fece nella gestione della presidenza
della Repubblica.
D. – A Cossiga cosa non piaceva della politica moderna?
R.
– Una preoccupazione l’aveva e ce la siamo scambiata tante volte, proprio negli ultimi
tempi. Non vedeva nella politica moderna un salto di qualità, cioè una strategia complessiva
sull’Italia, su che cosa è l’Italia, su che cosa deve diventare l’Italia, e quale
Costituzione nuova – perché riteneva che ce ne fosse bisogno – dovesse essere elaborata.
Questa era un’Italia che non gli piaceva, perché non vedeva queste strategie.