2010-08-19 15:04:27

A Sassari i funerali di Cossiga: il ricordo del vescovo di Nuoro e del senatore Pera


Un lunghissimo applauso ha accolto stamani nella chiesa di San Giuseppe, a Sassari, l’arrivo del feretro di Francesco Cossiga, avvolto nel tricolore e nella bandiera dei quattro mori bendati, il simbolo del popolo sardo. A rendere onore al presidente emerito della Repubblica italiana, morto martedì scorso all'età di 82 anni, anche il picchetto d'onore della Brigata Sassari. Le esequie sono state concelebrate dall’arcivescovo di Sassari, mons. Paolo Virgilio Atzei e dal vescovo di Nuoro, mons. Pietro Meloni. Prima di morire il presidente emerito Cossiga aveva chiesto che i funerali si tenessero in forma privata a Sassari. Su questa decisione si sofferma al microfono di Massimiliano Menichetti proprio mons. Pietro Meloni:RealAudioMP3

R. – Io l’ho interpretata come un ritorno alla culla della sua famiglia e alla culla della comunità cristiana, dove il parroco e i sacerdoti lo hanno guidato nella Chiesa. Ha imparato anche la bellezza dello stare insieme agli altri, della preghiera, della meditazione e poi, quando ha scoperto in sé il dna della politica, ha approfondito la dottrina sociale della Chiesa, si è impegnato per la giustizia, per il bene comune...

D. – Mons. Meloni, tratto anche molto forte del Presidente Cossiga è la sua appartenenza alla Sardegna..

R. – Certo sì, un po’ tutti i sardi sono famosi per questo. Quando poteva, come già faceva Antonio Segni che tornava quasi ogni settimana, così Cossiga tornava nel suo ambiente e in particolare nella sua parrocchia. La prima visita era sempre nella chiesa, s’inginocchiava, poi chiedeva anche la Confessione e spesso chiedeva la corona del Rosario e chiedeva preghiere. Poi si fermava con i giovani con grande simpatia.

D. – Oggi l’abbraccio dei suoi conterranei...

R. – C’era la strada piena di gente che non è potuta entrare nella chiesa ... gli sono stati molto vicini.

D. – Quando eravate piccoli, eravate ministranti nella stessa parrocchia, vuole condividere con noi questo ricordo?

R. – Io ero un po’ più piccolo, lui aveva qualche anno più di me. C’era una distinzione: noi avevamo la veste nera e i più grandi la veste rossa. Si vantava quando io sono diventato vescovo che lui mi aveva insegnato a servire la Messa. In un certo senso, se ero diventato vescovo era merito anche suo. Quando poi lui mi accompagnò - perché era senatore eletto nel territorio dove io sono diventato vescovo la prima volta - mi accompagnava dappertutto, in macchina e senza parlarmi mi faceva un segnale con la mano ad indicarmi che dovevo essere un po’ severo ed esigente come vescovo.

D. – Mons. Meloni, una parabola difficile fu la vicenda di Aldo Moro, la morte di Aldo Moro...

R. – E’ rimasto nel silenzio, ha versato lacrime sincere proprio dinnanzi alla tragedia di Moro, che è capitata proprio a lui che forse era uno dei migliori amici e suo discepolo; lui stesso ha confidato, che non dormiva per anni e non dormiva la notte, si svegliava di soprassalto pensando di essere stato lui il massimo responsabile, che poi non era vero. I carnefici credo che avessero già prescelto la vittima sacrificale.

D. – Che cosa lascia, secondo lei, il Presidente Cossiga all’Italia e alla Sardegna?

R. – Virgilio dice che “i figli imparano dai padri dopo che i padri non ci sono più”, quindi il meglio del suo messaggio e della sua testimonianza credo che rimarrà come un seme che porterà frutto e proprio per la testimonianza migliore, perché si potranno dimenticare - anche se certe volte erano simpatiche - le sue battute taglienti, però la sua coerenza, la sua fede, la sua testimonianza civile e culturale, questo credo che susciterà imitazione.

Sulla figura del presidente emerito Cossiga ascoltiamo anche il senatore Marcello Pera, intervistato da Luca Collodi:RealAudioMP3

R. – Io ritengo che sia stata una figura importante della storia della Repubblica italiana e che sia stato un grande personaggio, un personaggio che ha vissuto pagine tragiche della Repubblica e ha anche vissuto il passaggio dalla cosiddetta “Prima Repubblica” alla sempre più cosiddetta “Seconda Repubblica”. Credo che fosse un uomo di fede sincera. Era anche un grande ammiratore dell’attuale Pontefice, che conosceva bene quando era cardinale, di cui ammirava due cose: la fede e la dottrina molto profonda.

D. – Molti ricordano Cossiga come un ‘picconatore’, ma alcuni osservano che il suo ‘picconare’ va interpretato come un servizio allo Stato...

R. – Sì, c’era qualche cosa di fondo e di profondo nelle sue ‘picconature’, cioè la circostanza che egli viveva un sistema politico che si stava disgregando e un sistema istituzionale che non riusciva ad assecondare la nascita di una nuova Repubblica. In questa lucidità, in questa drammatica lucidità, tra l’analisi che era precisa e il modo con cui reagiva, consisteva in parte la sua personalità. Ha anche inciso nei modi con cui s’interpreta la funzione del presidente della Repubblica che, dopo di lui, è sempre stata più da protagonista, anche più da interprete della situazione politica e da guida degli equilibri politici. Questo si deve ad una rottura che lui fece nella gestione della presidenza della Repubblica.

D. – A Cossiga cosa non piaceva della politica moderna?

R. – Una preoccupazione l’aveva e ce la siamo scambiata tante volte, proprio negli ultimi tempi. Non vedeva nella politica moderna un salto di qualità, cioè una strategia complessiva sull’Italia, su che cosa è l’Italia, su che cosa deve diventare l’Italia, e quale Costituzione nuova – perché riteneva che ce ne fosse bisogno – dovesse essere elaborata. Questa era un’Italia che non gli piaceva, perché non vedeva queste strategie.







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