2010-08-18 13:45:19

Il concetto di giustizia al secondo Sinodo per l’Africa


Estratti di una riflessione di Paul Béré Sj - Professore di Sacre Scritture presso l’Istituto di Teologia della Compagnia di Gesù di Abidjan e Consultore della Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi – pubblicata sul sito di Promotio Iustitiae (http://sjweb.info/sjs/pjnew/PJShow.cfm?pubTextID=9004)

Tre nozioni fondamentali sono state oggetto di attenzione durante la discussione del secondo sinodo per l’Africa: la riconciliazione, la giustizia e la pace. Sono queste che definiscono per la Chiesa in Africa le sfide dell'Evangelizzazione oggi.

La giustizia distributiva: “A ciascuno il suo”
Nell’Instrumentum laboris, la nozione di giustizia appare sotto la sua forma comune di “dare a ciascuno il suo”.
Se in tutte le società del pianeta avviene che ci si lamenti del divario esistente tra ricchi e poveri, nel contesto africano è la coscienza umana a essere chiamata maggiormente in causa. Il suolo e il sottosuolo africani sovrabbondano di risorse immense, sfruttate ed esportate a beneficio di altre società non africane o di un’oligarchia africana a detrimento delle popolazioni africane stesse. C’è dunque un grave problema di “distribuzione” delle ricchezze che assicuri a ciascuno il minimo richiesto, cosicché tutti possano vivere dignitosamente. È pur vero che alla luce delle discussioni suscitate da una tale comprensione della giustizia, questo “minimo” pone dei problemi (Cfr. M. Ndomba, “De l’injustice comme violence à la justice comme contenu de l’éthique de la paix”, Akwaba, 2, 2009, pp. 55-63).

Chi dovrebbe assicurarne la distribuzione?
Negli interventi e documenti dei Padri sinodali, i governi, gli attori politici ed economici sono ritenuti responsabili della distribuzione iniqua dei beni prodotti. Nel Nuntius si legge infatti: “Quale che sia il livello di responsabilità attribuibile agli interessi stranieri, non si può negare una vergognosa e tragica complicità dei leader locali: dei politici che tradiscono e mettono all’asta i propri paesi, degli uomini d’affari che senza pudore si coalizzano con le voraci multinazionali, degli africani che vendono e trafficano in armi speculando su quelle leggere causa di distruzione di vite umane, degli agenti locali di organizzazioni internazionali che si fanno pagare per diffondere ideologie negative cui neppure loro aderiscono”. Questo tono di denuncia delle ingiustizie si fonda sulla concezione della giustizia distributiva. Gettando uno sguardo positivo sugli sforzi esperiti dai governi africani, il sinodo dà prova di giustizia. A coloro che si impegnano con decisione spetta il giusto riconoscimento di ciò che compiono nel settore della politica e dell’economia.
A titolo di esempio, il "Meccanismo di controllo paritario africano" (MAEP) come organo di autovalutazione della gestione economica e politica è oggetto di viva attenzione da parte del sinodo. Nella lettura del fenomeno della mondializzazione, il sinodo si rifà al concetto di giustizia distributiva. Constata una situazione di ingiustizia nei confronti di un’Africa beffata e sottratta non soltanto della sua autonomia di gestione, ma anche e soprattutto della propria cultura, oltre che violentata nella sua anima religiosa; poiché, nonostante sia il “polmone spirituale del mondo di oggi, rischia di essere infettata dal doppio virus del materialismo e del fanatismo religioso”. Infatti, venditori di soluzioni “magiche” di sviluppo manipolano attraverso i media la gioventù, facendole credere che la cultura materialista è segno e prova di sviluppo.
In un tale contesto, chi deve rendere alle generazioni africane attuali e future ciò che è loro dovuto?
Queste considerazioni dimostrano il bisogno e la necessità di un concetto operativo di giustizia a livello orizzontale. Tuttavia, una visione della giustizia come questa sarebbe insufficiente, non tanto nei risultati tangibili, quanto nell’intento profondo di una giustizia autentica. I Padri sinodali hanno allora sottolineato l’importanza di vedere la dimensione trascendente della nozione di giustizia che muova dalle Sacre Scritture servire da punto di partenza. Facendo perno sull’Antico Testamento come sul Nuovo, il termine ‘giustizia’ sarà riconcettualizzato per indicare non più degli “oggetti” (fisici) da dare, ma dei rapporti da ristabilire. È l’Alleanza biblica che diviene il riferimento di questo modo di intendere la giustizia. Successivamente, si è assistito alla crescita dello “spirito del capitalismo” unito all’alienazione del concetto di giustizia al di fuori di ogni radice trascendente. La morale nell’ambito economico, per esempio, era razionalista e individualista. Il suo principale interesse era il profitto ed essa prescindeva dalle richieste di solidarietà di un ordo amoris e di qualsiasi legame morale religioso. Di conseguenza, era annullata del tutto la nozione di giustizia sociale; e la “giustizia” non era applicata che agli accordi stipulati in contratti negoziati nel quadro della legge della domanda e dell’offerta, senza alcuna restrizione nei confronti dell’impresa individuale. Lo Stato faceva semplicemente rispettare l’ordine pubblico e gli impegni contrattuali, ma rimaneva totalmente neutrale quanto al loro contenuto".

Per correggere questa visione, il sinodo si rifà alla Parola di Dio. E fa notare che la narrazione della storia della salvezza nell’Antico Testamento ha reso manifesta l’incapacità dei figli di Israele di elevarsi all’altezza delle esigenze dell’Alleanza. Sono stati costantemente infedeli al loro compagno, il Signore Dio. La giustizia di cui il sinodo si farà eco è quella delle Scritture che la concepisce come un dono di Dio, nel quale Dio si rivela in maniera significativa e accorda la grazia della salvezza agli immeritevoli. La giustizia consiste nel ristabilire i rapporti originari di un'Alleanza in cui tutti gli africani vivrebbero come figli e figlie di una medesima famiglia. È questo tipo di giustizia più grande di quella degli uomini che la Chiesa come Famiglia di Dio si sente il dovere di promuovere.

La giustizia consiste oggi nel ristabilire i rapporti originari di un’Alleanza in cui tutti gli africani vivrebbero come figli e figlie di una medesima famiglia. È questo tipo di giustizia più grande di quella degli uomini che la Chiesa come Famiglia di Dio si sente il dovere di promuovere. Questa concezione della giustizia trova allora il proprio scopo nella riconciliazione di cui la pace è segno: si radica nel rapporto con Dio, e si rivela in quello degli esseri umani tra di loro.

Come possono incontrarsi giustizia distributiva e giustizia dell'Alleanza?
Secondo il sinodo, "la giustizia della diakonia cristiana è il giusto ordine delle cose e la soddisfazione di esigenze legittime dei rapporti. Si tratta della giustizia e della rettitudine di Dio e del suo Regno (cfr. Mt, 6,33)". Implicitamente quindi, si direbbe che dare a ciascuno il suo, in cui il paradigma della distribuzione si amplia inscrivendosi "in un quadro relazionale più vasto [che] consente di rendere conto degli aspetti di ciò che è dovuto a una persona o a un gruppo di persone e (che) non corrisponderebbe alle strutture di distribuzione.
La dimensione spirituale della giustizia diventa il modo in cui il sinodo pensa di formare l’artefice di giustizia: aiutandolo a relazionarsi con Dio; e ciò facendo potrà relazionarsi anche con gli altri. Perché “la giustizia non può realizzarsi con le sole forze dell’uomo. È un dono di Dio ... Quel Dio che giustifica attraverso il Cristo”.
Tuttavia, dietro le varie prese di posizione si è potuto evidenziare che il concetto di giustizia dominante resta quello di "rendere a ciascuno il suo". L'insistenza sulla dimensione trascendente ne fa la condizione che rende possibile ed effettiva la giustizia distributiva. Come ho evidenziato, anche il paradigma della distribuzione si amplia per integrare realtà non distribuibili, inserendole nella sfera del rapporto.

Per finire, vorrei notare che per dei pastori alle prese con situazioni così scottanti come quella africana, non deve stupire che la base concettuale della giustizia non sia stata elaborata a sufficienza perché il concetto sia operativo nell'ottica dell'analisi delle situazioni pastorali. Quando si afferma che: "Dio giustifica il peccatore con un atto di grazia, e l'uomo rende giustizia al suo offensore perdonandogli le sue colpe", resta da definire il posto riservato alle mediazioni necessarie nell'ordine umano. Come poter pensare il perdono nell'ordine umano delle cose come componente della giustizia a immagine di quella di Dio?

Paul Béré SJ
Costa d'Avorio







All the contents on this site are copyrighted ©.