Il concetto di giustizia al secondo Sinodo per l’Africa
Estratti di una riflessione di Paul Béré Sj - Professore di Sacre Scritture presso
l’Istituto di Teologia della Compagnia di Gesù di Abidjan e Consultore della Segreteria
Generale del Sinodo dei Vescovi – pubblicata sul sito di Promotio Iustitiae (http://sjweb.info/sjs/pjnew/PJShow.cfm?pubTextID=9004)
Tre
nozioni fondamentali sono state oggetto di attenzione durante la discussione del secondo
sinodo per l’Africa: la riconciliazione, la giustizia e la pace. Sono queste che definiscono
per la Chiesa in Africa le sfide dell'Evangelizzazione oggi.
La giustizia
distributiva: “A ciascuno il suo” Nell’Instrumentum laboris, la nozione di
giustizia appare sotto la sua forma comune di “dare a ciascuno il suo”. Se in tutte
le società del pianeta avviene che ci si lamenti del divario esistente tra ricchi
e poveri, nel contesto africano è la coscienza umana a essere chiamata maggiormente
in causa. Il suolo e il sottosuolo africani sovrabbondano di risorse immense, sfruttate
ed esportate a beneficio di altre società non africane o di un’oligarchia africana
a detrimento delle popolazioni africane stesse. C’è dunque un grave problema di “distribuzione”
delle ricchezze che assicuri a ciascuno il minimo richiesto, cosicché tutti possano
vivere dignitosamente. È pur vero che alla luce delle discussioni suscitate da una
tale comprensione della giustizia, questo “minimo” pone dei problemi (Cfr. M. Ndomba,
“De l’injustice comme violence à la justice comme contenu de l’éthique de la paix”,
Akwaba, 2, 2009, pp. 55-63).
Chi dovrebbe assicurarne la distribuzione? Negli
interventi e documenti dei Padri sinodali, i governi, gli attori politici ed economici
sono ritenuti responsabili della distribuzione iniqua dei beni prodotti. Nel Nuntius
si legge infatti: “Quale che sia il livello di responsabilità attribuibile agli interessi
stranieri, non si può negare una vergognosa e tragica complicità dei leader locali:
dei politici che tradiscono e mettono all’asta i propri paesi, degli uomini d’affari
che senza pudore si coalizzano con le voraci multinazionali, degli africani che vendono
e trafficano in armi speculando su quelle leggere causa di distruzione di vite umane,
degli agenti locali di organizzazioni internazionali che si fanno pagare per diffondere
ideologie negative cui neppure loro aderiscono”. Questo tono di denuncia delle ingiustizie
si fonda sulla concezione della giustizia distributiva. Gettando uno sguardo positivo
sugli sforzi esperiti dai governi africani, il sinodo dà prova di giustizia. A coloro
che si impegnano con decisione spetta il giusto riconoscimento di ciò che compiono
nel settore della politica e dell’economia. A titolo di esempio, il "Meccanismo
di controllo paritario africano" (MAEP) come organo di autovalutazione della gestione
economica e politica è oggetto di viva attenzione da parte del sinodo. Nella lettura
del fenomeno della mondializzazione, il sinodo si rifà al concetto di giustizia distributiva.
Constata una situazione di ingiustizia nei confronti di un’Africa beffata e sottratta
non soltanto della sua autonomia di gestione, ma anche e soprattutto della propria
cultura, oltre che violentata nella sua anima religiosa; poiché, nonostante sia il
“polmone spirituale del mondo di oggi, rischia di essere infettata dal doppio virus
del materialismo e del fanatismo religioso”. Infatti, venditori di soluzioni “magiche”
di sviluppo manipolano attraverso i media la gioventù, facendole credere che la cultura
materialista è segno e prova di sviluppo. In un tale contesto, chi deve rendere
alle generazioni africane attuali e future ciò che è loro dovuto? Queste considerazioni
dimostrano il bisogno e la necessità di un concetto operativo di giustizia a livello
orizzontale. Tuttavia, una visione della giustizia come questa sarebbe insufficiente,
non tanto nei risultati tangibili, quanto nell’intento profondo di una giustizia autentica.
I Padri sinodali hanno allora sottolineato l’importanza di vedere la dimensione trascendente
della nozione di giustizia che muova dalle Sacre Scritture servire da punto di partenza.
Facendo perno sull’Antico Testamento come sul Nuovo, il termine ‘giustizia’ sarà riconcettualizzato
per indicare non più degli “oggetti” (fisici) da dare, ma dei rapporti da ristabilire.
È l’Alleanza biblica che diviene il riferimento di questo modo di intendere la giustizia.
Successivamente, si è assistito alla crescita dello “spirito del capitalismo” unito
all’alienazione del concetto di giustizia al di fuori di ogni radice trascendente.
La morale nell’ambito economico, per esempio, era razionalista e individualista. Il
suo principale interesse era il profitto ed essa prescindeva dalle richieste di solidarietà
di un ordo amoris e di qualsiasi legame morale religioso. Di conseguenza, era annullata
del tutto la nozione di giustizia sociale; e la “giustizia” non era applicata che
agli accordi stipulati in contratti negoziati nel quadro della legge della domanda
e dell’offerta, senza alcuna restrizione nei confronti dell’impresa individuale. Lo
Stato faceva semplicemente rispettare l’ordine pubblico e gli impegni contrattuali,
ma rimaneva totalmente neutrale quanto al loro contenuto".
Per correggere
questa visione, il sinodo si rifà alla Parola di Dio. E fa notare che la narrazione
della storia della salvezza nell’Antico Testamento ha reso manifesta l’incapacità
dei figli di Israele di elevarsi all’altezza delle esigenze dell’Alleanza. Sono stati
costantemente infedeli al loro compagno, il Signore Dio. La giustizia di cui il sinodo
si farà eco è quella delle Scritture che la concepisce come un dono di Dio, nel quale
Dio si rivela in maniera significativa e accorda la grazia della salvezza agli immeritevoli.
La giustizia consiste nel ristabilire i rapporti originari di un'Alleanza in cui tutti
gli africani vivrebbero come figli e figlie di una medesima famiglia. È questo tipo
di giustizia più grande di quella degli uomini che la Chiesa come Famiglia di Dio
si sente il dovere di promuovere.
La giustizia consiste oggi nel ristabilire
i rapporti originari di un’Alleanza in cui tutti gli africani vivrebbero come figli
e figlie di una medesima famiglia. È questo tipo di giustizia più grande di quella
degli uomini che la Chiesa come Famiglia di Dio si sente il dovere di promuovere.
Questa concezione della giustizia trova allora il proprio scopo nella riconciliazione
di cui la pace è segno: si radica nel rapporto con Dio, e si rivela in quello degli
esseri umani tra di loro.
Come possono incontrarsi giustizia distributiva e
giustizia dell'Alleanza? Secondo il sinodo, "la giustizia della diakonia cristiana
è il giusto ordine delle cose e la soddisfazione di esigenze legittime dei rapporti.
Si tratta della giustizia e della rettitudine di Dio e del suo Regno (cfr. Mt, 6,33)".
Implicitamente quindi, si direbbe che dare a ciascuno il suo, in cui il paradigma
della distribuzione si amplia inscrivendosi "in un quadro relazionale più vasto [che]
consente di rendere conto degli aspetti di ciò che è dovuto a una persona o a un gruppo
di persone e (che) non corrisponderebbe alle strutture di distribuzione. La dimensione
spirituale della giustizia diventa il modo in cui il sinodo pensa di formare l’artefice
di giustizia: aiutandolo a relazionarsi con Dio; e ciò facendo potrà relazionarsi
anche con gli altri. Perché “la giustizia non può realizzarsi con le sole forze dell’uomo.
È un dono di Dio ... Quel Dio che giustifica attraverso il Cristo”. Tuttavia, dietro
le varie prese di posizione si è potuto evidenziare che il concetto di giustizia dominante
resta quello di "rendere a ciascuno il suo". L'insistenza sulla dimensione trascendente
ne fa la condizione che rende possibile ed effettiva la giustizia distributiva. Come
ho evidenziato, anche il paradigma della distribuzione si amplia per integrare realtà
non distribuibili, inserendole nella sfera del rapporto.
Per finire, vorrei
notare che per dei pastori alle prese con situazioni così scottanti come quella africana,
non deve stupire che la base concettuale della giustizia non sia stata elaborata a
sufficienza perché il concetto sia operativo nell'ottica dell'analisi delle situazioni
pastorali. Quando si afferma che: "Dio giustifica il peccatore con un atto di grazia,
e l'uomo rende giustizia al suo offensore perdonandogli le sue colpe", resta da definire
il posto riservato alle mediazioni necessarie nell'ordine umano. Come poter pensare
il perdono nell'ordine umano delle cose come componente della giustizia a immagine
di quella di Dio?