La preghiera del Papa per il presidente emerito della Repubblica italiana, Francesco
Cossiga, spentosi a Roma all'età di 82 anni
Cordoglio di Benedetto XVI per la morte del presidente emerito della Repubblica italiana,
Francesco Cossiga, spentosi stamani all'età di 82 anni. Il Papa è stato immediatamente
informato della notizia della morte di Cossiga, avvenuta alle 13.18 di oggi al Policlinico
Gemelli. Profondamente addolorato si è raccolto in preghiera. Pochi giorni fa mons.
Rino Fisichella era stato incaricato dalla segreteria di Stato, a nome del Papa, di
informarsi sullo stato di salute dell’ex presidente e si era recato in visita al policlinico
di Roma. Alle 12 di oggi era stato diffuso un bollettino medico che parlava di condizioni
di salute di “estrema gravità”. Il servizio di Alessandro Guarasci:
Un uomo politico
precocissimo. Nato a Sassari nel 1928, deputato a nemmeno 30 anni, nel ’66 fu il più
giovane sottosegretario alla Difesa del terzo governo Moro; nel ’76 il più giovane
ministro degli Interni, nell’83 il più giovane presidente del Senato, e a soli 57
anni, nel 1985, il più giovane inquilino del Quirinale. Cossiga viene ricordato per
aver perseguito la linea della fermezza con le Br durante il rapimento di Moro. Dopo
il ritrovamento del corpo del presidente della Dc, Cossiga dette le dimissioni. Poi
il periodo alla presidenza del Consiglio dei Ministri, dall’agosto del ’79 all’ottobre
dell’80. Il Pci ne propose la messa in stato d’accusa per favoreggiamento personale.
Divenne l’ottavo presidente della Repubblica nell’85. Dopo i primi anni al Quirinale,
si caratterizzò per una forte esposizione mediatica su tanti temi di politica interna,
fu detto “il grande picconatore”. Si ricorda inoltre "Gladio": la sezione italiana
di Stay Behind, organizzazione segreta della Nato, di cui Cossiga si definì “l’unico
referente politico”. Fervente cattolico, ha incontrato più volte Giovanni Paolo II
e nell’agosto del 2008 pranzò con Benedetto XVI nella residenza estiva a Bressanone.
Per
un ricordo dell'uomo Francesco Cossiga, ascoltiamo mons. Vincenzo Paglia, vescovo
di Terni-Narni-Amelia, intervistato da Alessandro Guarasci:
R. – Un uomo
di grande fede, una fede magari austera, essenziale, ma che ha segnato l’intera sua
vita, fin da ragazzo, anche il suo ingresso in politica. Perdiamo un grande italiano,
un grande uomo di Stato. Tutto sgorga da una prospettiva di fede, e nello stesso tempo
questa fede gli ha dato un grande amore per il Paese, per la patria, e lo ha reso
un lottatore caparbio. La sua straordinaria intelligenza gli ha fatto prevedere molte
cose a volte, è stata anche causa di incomprensioni, di dibattiti vivacissimi. Un
grande italiano, appassionato di questo Paese, appassionato della libertà.
D.
– Un uomo con grandi principi morali, fatto sta che si dimise, in alcune occasioni.
Un caso raro in Italia...
R. – E questo perché aveva compreso che era
cambiato tutto e bisognava cambiare anche la politica. Purtroppo questo non fu compreso.
Gli anni successivi gli hanno dato ragione.
Per un profilo politico di
Francesco Cossiga e della sua importanza nella vita istituzionale del Paese, Alessandro
Guarasci ha chiesto il commento di Andrea Cangini, giornalista del “Quotidiano
Nazionale”, e autore di un saggio scritto con lo stesso Cossiga:
R. – Cossiga
è stato a lungo un uomo di Stato più che di partito. Non era un uomo di corrente,
non aveva un potere interno tale da minacciare gli assetti correntizi della Democrazia
Cristiana. Cossiga, però, era un uomo estremamente raffinato, estremamente intelligente,
estremamente colto e dotato di antenne politiche assai sensibili e questo gli ha consentito
di vedere il cambio di scenario che nessuno vedeva, perché il paradosso è che molto
spesso l’élite politica non ha coscienza dei cambiamenti radicali che la storia gli
prospetta.
D. – L’attività di Presidente della Repubblica di Cossiga
in qualche modo è stata caratterizzata da due tempi: dapprima un presidente "notaio"
poi "esternatore". Perché questa differenza così notevole?
R. – Sostanzialmente
il suo repentino e radicale cambio di atteggiamento rispetto al modo di interpretare
la presidenza della Repubblica fu dovuto all’istinto di sopravvivenza politica. Dopo
i primi due anni di mandato presidenziale, Cossiga si rese conto che la Democrazia
Cristiana stava manovrando per costringerlo alle dimissioni usando la sponda del Partito
Comunista e si rese anche conto che il mondo stava cambiando attorno a loro. Il crollo
del muro di Berlino avrebbe devastato non il Pci – come ingenuamente ritenevano i
dirigenti democristiani di allora – ma la Democrazia Cristiana ed il Psi. Dovette
quindi diventare altro da sé, parlare direttamente all’opinione pubblica, nella speranza
di avere una sponda contro il sistema dei partiti che gli si stava rivoltando contro.