2010-08-13 16:10:30

Intervento del vescovo di San Cristóbal de Las Casas sulle unioni omosessuali


"Il legalismo incatena e limita, poiché possono esistere leggi ingiuste, addirittura approvate con tutto il procedimento giuridico, che violano i diritti fondamentali. Qualunque sia la decisione presa a maggioranza, non per questo ha valore assoluto, poiché esistono diritti umani che non sono soggetti all'approvazione della maggioranza. Anche se i giudici della Suprema corte dicono che ciò è legale, non per questo automaticamente è giusto". È uno dei passaggi più significativi dell'intervento del vescovo di San Cristóbal de Las Casas, Felipe Arizmendi Esquivel, a proposito della sentenza della Suprema corte di giustizia messicana per la quale la decisione di equiparare le unioni omosessuali al matrimonio — presa il 21 dicembre scorso nel distretto federale di Città del Messico — è valida per l'intero Paese. La sentenza, tuttavia, non obbliga i trentuno Stati della Repubblica a modificare le loro legislazioni al riguardo. L'intervento di monsignor Arizmendi Esquivel — che si dice preoccupato perché la stessa corte è ora chiamata a decidere se è legale che coppie dello stesso sesso possano adottare bambini — è solo l'ultimo di una lunga serie di commenti dei presuli messicani, fortemente critici "davanti all'aberrante giudizio di costituzionalità che avalla l'immorale riforma di legge che consente le unioni tra persone dello stesso sesso, chiamandole abusivamente matrimonio", come ha dichiarato il cardinale Norberto Rivera Carrera, arcivescovo di México. Secondo Arizmendi Esquivel, nell'avallare come costituzionale la legislazione del distretto federale, i giudici non hanno preso in considerazione il merito della questione, "se delle nozze 'gay' sono conformi o no alla natura; se questo 'matrimonio' è vero o falso; se è giusto o ingiusto che un bambino e una bambina abbiano un padre e una madre. Si sono limitati a dichiarare se ciò è conforme o no alla legge del Paese". Il vescovo di San Cristóbal de Las Casas ricorda che, quando la Suprema corte ha difeso il diritto all'aborto a Città del Messico, "allo stesso modo non entrò nel merito di dichiarare se l'essere già concepito è una vita umana, quindi con il diritto fondamentale alla vita, ma solo se questo crimine è o no contro la Costituzione". Quello dei vescovi messicani non è un invito a violare la legge ma a rispettare valori che sono alla base del vivere cristiano. "Sebbene siamo chiamati a essere rispettosi delle leggi civili — cita L’Osservatore Romano da quanto riferito dal cardinale Rivera Carrera — abbiamo il dovere morale di non rendere vani i comandamenti di Dio e di evitare di cadere in permessivismi che danneggiano i principi fondamentali della nostra fede e il valore prezioso della famiglia, oggi tanto attaccata e banalizzata". (L.Z.)







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