2010-08-11 15:02:00

Italia: ennesimo suicidio in carcere


Il carcere continua a fare da sfondo al dramma del suicidio: un detenuto cinquantenne si è tolto la vita questa notte impiccandosi nella sua cella nel carcere romano di Rebibbia. Si tratta del 41.mo suicidio in Italia nel 2010. Complessivamente, negli ultimi dieci anni, nelle carceri italiane sono morte oltre 1700 persone. Quasi seicento di questi decessi sono avvenuti per suicidio. Ognuna di queste morti è una notizia terribile che si inserisce in un contesto, quello dei penitenziari italiani, che molte volte presenta carenze gravissime. E’ quanto sottolinea al microfono di Massimiliano Menichetti il garante dei detenuti Angiolo Marroni:RealAudioMP3

R. – E’ un quadro desolante, drammatico, tragico. Il carcere è affollato: c’è il doppio della capienza regolamentare. Si affolla sempre di più ed è sempre più invivibile. Il personale, durante questo periodo estivo, è ridotto ai minimi termini. Poi si aggiunge la malasanità. I detenuti soffrono le stesse condizioni dei cittadini che aspettano di essere curati, ma è chiaro che non hanno alternative. Quindi sono più deboli. E’ un quadro tragico, per cui non so immaginare una soluzione, se non quella di riformare totalmente il codice penale.

D. – Comunque è stato varato il “piano carceri”, che dovrebbe alleggerire questa situazione...

R. – In alcuni casi le strutture penitenziarie sono pessime, andrebbero proprio abbandonate per costruirne altre. Nel “piano carceri” si prevede questo, ma la soluzione che io immagino non è quella di avere più carceri o carceri più accoglienti, che pure non sarebbe male. Penso invece ad una riforma del codice penale, in cui la pena non sia sempre e soltanto il carcere.

D. – Quindi misure alternative?

R. – Diciamo diverse. Ipotizzo lavori socialmente utili, ipotizzo gli arresti domiciliari, ipotizzo alcune pene dissuasive - penso a pene che tendano pure a togliere alcuni diritti, che sono quelli dell’espatrio, della libertà di movimento, penso all’obbligo di risiedere in un posto piuttosto che in un altro. C’è una gamma di ipotesi, di pene, che si ritrova anche nei codici penali europei, che si potrebbero benissimo attuare, ma questo vuol dire che si deve uscire dalla logica del carcere. Nell’immaginario collettivo il carcere è quello che punisce davvero, in realtà poi non dissuade e contemporaneamente fa anche morire.

D. – Quindi, operare una distinzione forte tra i vari reati, gravi e meno gravi...

R. – Certo, per i reati molto gravi il carcere è inevitabile, ma vi sono una serie di reati... Per esempio c’è un detenuto che starà lì adesso per un anno, perché rubava strutture in legno da un negozio di ortofrutta...

D. – Lei ha ribadito che servono anche supporti psicologici e materiali?

R. – Gli psicologi sono una minoranza, sono un numero esiguo. Uno psicologo deve seguire 200, 350 detenuti, quindi non riesce a fare delle relazioni in sintesi. Gli educatori sono anch’essi un numero esiguo. La polizia penitenziaria è sotto organico. Quindi, in pratica, abbiamo una situazione in cui tutto il sistema soffre profondamente, non vede vie d’uscita.

D. – Lei ha detto che non vede un sistema politico che sia capace di risolvere questa situazione...

R. – Certo, non faccio adesso un discorso di centro-destra o centro-sinistra. Sto facendo un discorso complessivo di sensibilità, che non vedo da nessuna parte.







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