Giornata dei popoli indigeni. Ban: superare sfruttamento e razzismo
“I popoli indigeni sono portatori della storia culturale dell’umanità, i governi devono
impegnarsi a sostenerli e rimuovere ostacoli come razzismo, emarginazione e povertà”.
Così in sintesi il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon nel messaggio per l'odierna
giornata internazionale a loro dedicata. Si stima che i popoli indigeni rappresentino
il 5% degli abitanti del Pianeta, circa 370 milioni di persone sparse in 70 Paesi.
Massimiliano Menichetti ne ha parlato con Alessandro Michelucci presidente
del Centro di documentazione sui popoli minacciati.
R. - Secondo
la definizione approntata dall’Onu, i popoli indigeni sono popoli pre-coloniali, comunità
che vivono sufficientemente separate in termini geografici, che hanno una riconoscibilità
per il loro modo di vivere, per la cultura, per l’insieme di valori ai quali si riferiscono.
Parliamo ad esempio dei nativi americani, degli aborigeni australiani, di alcuni gruppi
dell’Amazzonia, dei sami, meglio noti come lapponi, dell’Europa del nord, i maori
della Nuova Zelanda... Sono comunità più o meno numerose, che nell’insieme, secondo
un calcolo che viene generalmente accettato, cumulano un totale di quasi il 5% della
popolazione mondiale.
D. - Il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon
ha ribadito che i popoli indigeni oggi sono ancora vittime di razzismo e i loro diritti
sono violati. Eppure la dichiarazione delle Nazioni Unite adottata nel 2007, delinea
un quadro normativo per consolidare i rapporti tra i popoli indigeni e i Governi.
R.
- La dichiarazione è il solito catalogo di buone intenzioni, perché in pratica quel
documento è una sorta di consiglio, mancano infatti delle strutture cogenti, per chi
non lo rispetta. Fermo restando che poi ci sono diversi Paesi, come gli Stati Uniti,
il Canada, la Nuova Zelanda e l’Australia, che non l’hanno neanche sottoscritta.
D.
- Ma quali sono le difficoltà dei popoli indigeni?
R. - Per esempio
lo sfruttamento del territorio, che viene fatto senza tenere conto che alcuni spazi
rappresentano uno strumento di sussistenza essenziale ed unico per i popoli indigeni.
Se per esempio, in Paesi come l’Ecuador, vado a cercare il petrolio, questi popoli
sono costretti ad andare altrove, se continuo a costruire grandi dighe in India, lo
stesso questi popoli sono costretti ad andare via. Questo è un modello di sviluppo
indefinito che, di fatto, condanna i popoli indigeni.
D. - La situazione
ha avuto un’evoluzione nel corso degli anni?
R. - Sostanzialmente non
è migliorata, in vari Paesi ci sono stati degli accordi, però il più delle volte non
vengono rispettati.
D. - Una delle obiezioni che viene sollevata è che
anche in sede Onu sono presenti solo i Governi che magari hanno dei contenziosi aperti
con i popoli indigeni. Come si risolve questo stallo?
R. - La stessa
struttura dell’Onu è la radice di questo dilemma e sarà insolubile finchè l’Onu sarà
rappresentato dagli Stati anziché dai popoli.
D. - Qual è dunque il
suo auspicio?
R. - Che i popoli indigeni stessi riescano ad avere maggiori
tutele consolidandosi in posizioni di maggiore peso politico.