Referendum costituzionale in Kenya: il fronte del sì verso la vittoria
Il gruppo dei sì, favorevoli all'approvazione della nuova costituzione in Kenya ha
già dichiarato vittoria. Nonostante non vi siano ancora dichiarazioni ufficiali da
parte della commissione elettorale, sembra che, dopo il conteggio di oltre il 50%
delle schede, la nuova Carta verrà approvata con larga maggioranza. Il nuovo testo
introduce limitazioni ai poteri del presidente e una seconda camera al Parlamento.
Molti, inoltre, i punti controversi: la legalizzazione dell’aborto, il riconoscimento
dei tribunali civili musulmani e la riforma agraria. Salvatore Sabatino ha
chiesto un commento al padre comboniano Giulio Albanese, responsabile del settore
riviste della Direzione Nazionale delle Pontificie Opere Missionarie:
R. - Ci
sono sicuramente degli aspetti innovativi nel nuovo dettato costituzionale, a riprova
del fatto che il Kenya ha davvero voglia di voltare pagina. Pensiamo al fatto che
siano stati drasticamente ridotti i poteri del presidente: ora sono condivisi invece
con la figura e il ruolo del premier. E’ chiaro che poi vengono anche di fatto gettati
i fondamenti per quella che sarà l’agognata riforma fondiaria, quella che interessa
soprattutto la gente, per quanto concerne la sopravvivenza. Detto questo, però, vi
sono anche dei limiti che sono stati giustamente stigmatizzati dai vescovi. Pensiamo
al fatto che c’è una clausola che riconosce la vita umana non a partire dal concepimento
ma dalla nascita, e quindi da questo punto di vista potrebbe rappresentare il fondamento
per una legge abortista.
D. – Il fatto che nel nuovo testo costituzionale
sia prevista l’istituzione dei tribunali musulmani e il riconoscimento del loro campo
d’azione su tutto il territorio fa sì che l’Islam sia l’unica confessione citata nel
testo in un Paese, però, a maggioranza cristiana. Questo non rischia di alimentare
le divisioni all’interno del Paese?
R. – E’ un rischio reale, anche
se si tratta di una vecchia storia, perché non dimentichiamo che quando il Kenya divenne
indipendente nel 1963, l’allora premier, che poi divenne presidente, Jomo Kenyatta,
fu costretto di fatto a trattare con la comunità musulmana della costa, che accettò
di far parte del nuovo Kenya indipendente a condizione che proprio il sistema giurisprudenziale
fosse riconosciuto dallo Stato laico. Dunque, si tratta, di fatto, di una sorta di
privilegio che affonda le radici nel passato e che di fatto viene riconfermato.
D.
– Come vedi il futuro del Paese e quale sarà l’impegno della Chiesa locale dopo l’entrata
in vigore di questa Costituzione?
R. – Io credo che da parte della società
civile, in senso lato e della Chiesa cattolica in particolare che in fondo è parte
integrante della società civile, ci sarà innanzitutto l’impegno a continuare nella
lotta contro l’aborto. Non vi è dubbio, si cercherà di evitare che venga legalizzato,
al contempo però credo che la Chiesa cattolica incoraggerà tutte quelle iniziative
– diciamo quei principi propositivi - che potrebbero segnare la svolta e che sono
contenuti nel nuovo dettato costituzionale.