Giallo sul presunto attentato al presidente iraniano Ahmadinejad
Il giorno dopo le notizie di un attentato al presidente iraniano Ahmadinejad, seccamente
smentite dalle autorità di Teheran, rimane il giallo su quanto accaduto ieri ad Hamedan,
350 chilometri ad ovest della capitale. Siti internet e tv avevano parlato di una
granata esplosa a cento metri dal corteo presidenziale, di feriti e di un attentatore
arrestato. In seguito, fonti ufficiali hanno spiegato che si è trattato solo di un
petardo. Ma come si può delineare l’opposizione ad Ahmadinejad? Giada Aquilino lo
ha chiesto a Riccardo Redaelli, docente di Geopolitica all’Università Cattolica di
Milano:
R. - In
Iran, all’inizio degli anni Ottanta, all’inizio della Rivoluzione, erano attivi grandi
movimenti terroristici o comunque caratterizzati dall’utilizzo della violenza, debellati
poi dal regime. Ultimamente gli unici eventi etichettati come terroristici sono presenti
soprattutto in Baluchistan, dove ci sono movimenti sunniti contrari
al regime. E’ vero che vi sono infiltrazioni all’interno dell’Iran, ma vedo molto
difficile un tentativo, com’è stato detto, da parte israeliana o da parte occidentale,
di eliminare Ahmadinejad. Questa mi sembra veramente fantapolitica. Quanto all’attività
sul versante interno, il dissenso politico attuale non è mai stato un dissenso violento.
D.
– Com’è possibile inquadrare l’opposizione interna oggi in Iran?
R.
- Vi sono molte opposizioni. Anzitutto un’opposizione ad Ahmadinejad, che è interna
allo stesso regime: si tratta cioè di personaggi che lavorano all’interno del quadro
politico, dell’élite politica post rivoluzionaria e quindi fanno parte del sistema
della Repubblica Islamica, ma sono contrari alla linea dei Pasdaran e di Ahmadinejad.
Vi è poi un’opposizione politica esterna alla Repubblica Islamica, ma che non è una
opposizione violenta. Vi sono quindi frange e gruppi che ricorrono anche alla violenza:
sono gruppi sunniti legati ai baluchi. Nel sud, c’è un certo fermento da parte curda
ed azera, anche se non così strutturato come quella nel sudest. Questo è un po’ il
quadro. Io non lo collegherei, però, al dissenso politico più manifesto, che c’è stato
nell’ultimo anno dopo le elezioni, perché quello era un movimento pacifico.
D.
- Gli Stati Uniti hanno aumentato la pressione sull’Iran inasprendo le sanzioni per
prevenire la proliferazione nucleare di Teheran e la Casa Bianca ha giudicato “non
seria” la proposta di colloqui avanzata da Ahmadinejad ad Obama. A che punto è la
situazione?
R. - Dopo le aperture dell’anno scorso da parte dell’amministrazione
Obama e il quasi accordo in autunno sul nucleare, si è arrivati ad una fase molto
più confusa. Obama - anche per le pressioni interne - ha puntato a nuove sanzioni,
nonostante vi siano chiari segnali dall’amministrazione americana di una volontà di
aprire negoziati se l’Iran avesse una intenzione seria di negoziare attorno al nucleare.
Da parte iraniana i segnali sono ancora molto contraddittori: si ripete che si vuole
negoziare, ma intanto "l’orologio del nucleare" continua ad andare avanti.