Obama conferma il ritiro delle forze di combattimento dall'Iraq entro la fine del
mese
Il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, ha confermato in modo ufficiale le
tappe del ritiro delle truppe americane dall'Iraq, che prevede dall’agosto 2010 la
fine della missione di combattimento. Nel Paese del Golfo rimarranno 50 mila soldati,
ma si limiteranno ad addestrare le forze irachene, sino alla fine del 2011, quando
torneranno tutti a casa. Contemporaneamente, però, il capo della Casa Bianca ha rilanciato
la guerra in Afghanistan, dove, afferma, si stanno facendo "progressi'' contro i terroristi
di al Qaeda. Salvatore Sabatino ne ha parlato con Paolo Mastrolilli,
esperto di politica statunitense del quotidiano “La Stampa”:
R. - Il
presidente Obama sta seguendo un programma che era stato concordato dal suo predecessore:
già il presidente Bush aveva deciso questo genere di disimpegno, concordandolo con
le autorità irachene. Il problema, naturalmente, è che prima di tutto in Iraq non
siamo sicuri che la situazione di instabilità sia effettivamente terminata: queste
truppe americane, questi 50 mila soldati americani, resteranno per addestrare gli
iracheni in modo che possano poi controllare il Paese, ma eventualmente anche intervenire
se ci fosse un ritorno della violenza. Le violenze potrebbero anche ripartire e scatenarsi
proprio con la partenza degli americani, perché magari alcuni gruppi etnici o politici
potrebbero decidere di fare i conti con i loro avversari, approfittando proprio dell’uscita
dal Paese delle truppe americane. Dall’altro lato, poi, il presidente si trova di
fronte al gravissimo problema dell’Afghanistan, che forse non sarebbe nelle condizioni
attuali se non si fossero sprecati i soldi, le energie, gli uomini e le intelligenze
che sono servite a gestire l’invasione in Iraq e che naturalmente allo stato attuale
rappresenta il problema più grave per la coalizione occidentale in quella zona del
mondo.
D. - Secondo molti osservatori quella in Iraq
è la guerra di Bush. Si può dire che Obama si sia scrollato di dosso, a questo punto,
l’eredità del suo predecessore?
R. - Se l’è scrollata
di dosso fino ad un certo punto, perché non siamo appunto sicuri che la guerra in
Iraq sia terminata. Gli americani vogliono ritirarsi completamente entro la fine dell’anno
prossimo. Bisognerà poi vedere cosa succederà all’interno del Paese. Se ci sarà una
stabilità democratica accettabile, allora la guerra sarà effettivamente avviata verso
la conclusione; se invece riprenderanno i disordini, sarà difficile per l’Occidente
non interessarsene. Resta anche aperta la guerra in Afghanistan che è stata iniziata
dal presidente Bush e che il presidente Obama ha ereditato, ma che continua perché
ritiene che sia indispensabile per evitare che al Qaeda possa tornare a colpire gli
Stati Uniti e gli altri alleati occidentali.
D. - Su
una cosa non ci sono dubbi: Obama è in calo di consensi. Queste decisioni di carattere
militare possono essere ricollegate alla necessità di risalire nell’appoggio da parte
degli americani?
R. - Obama si era distinto durante
la campagna elettorale, anche all’interno dei candidati democratici, per la sua opposizione
alla guerra in Iraq. Aveva promesso di porre termine a questo intervento e, quindi,
in questa maniera sta cercando di mantenere la sua promessa, ristabilendo un collegamento
ed un consenso con la componente democratica pacifista che lo aveva sospinto durante
le primarie e poi lo ha sostenuto anche durante le elezioni. A novembre sono in programma
le elezioni midterm ed Obama è in calo dei sondaggi e spera in questo modo di recuperare
un po’ di quell’elettorato che lo aveva aiutato a diventare presidente.