2010-08-03 15:27:30

Il Papa invita a pregare perché la Chiesa sia casa di tutti, in particolare di quanti fuggono da guerre, fame e discriminazioni


“Perché la Chiesa sia la ‘casa’ di tutti, pronta ad aprire le sue porte a quanti sono costretti dalle discriminazioni razziali e religiose, dalla fame e dalla guerra ad emigrare in altri Paesi”. E’ l’intenzione missionaria di preghiera del Papa per questo mese di agosto. Roberta Gisotti ha chiesto una riflessione a padre Gianromano Gnesotto, direttore della “Fondazione Migrantes”, l’Ufficio della Conferenza episcopale italiana per la pastorale degli immigrati esteri in Italia e dei profughi: RealAudioMP3

D. - Padre Gnesotto, questa intenzione - che arriva nel periodo estivo di maggiore criticità per le persone in difficoltà - in che modo interpella la coscienza dei cristiani, considerato che il fenomeno migratorio entra nelle nostre case ed abita le nostre strade, sovente lasciandoci indifferenti al di là di preoccupazioni legate alla sicurezza sociale?

R. – Le migrazioni sono per la Chiesa il segno visibile di una realtà invisibile che è propria della natura stessa della Chiesa, che è quella di un popolo in cammino. Dunque, i migranti ci ricordano questa realtà profonda, che siamo qui in questa terra pellegrini e dobbiamo dunque avere i piedi piantati sì per terra, ma lo sguardo rivolto verso il cielo, con quei valori che fanno della vita della persona, una vita che sempre è valevole da qualsiasi punto di vista; e poi la nostra Chiesa si riscopre con la sua vocazione cattolica fondamentale grazie anche a questi immigrati cattolici che provengono da più parti.

D. – Padre Gnesotto, si può fare di più nelle nostre parrocchie per promuovere una catechesi appropriata di accettazione dell’immigrato, che non è altro da noi?

R. – Esatto, l’immigrato è sempre nostro fratello, nostra sorella e questo qui, è il punto fondamentale. Poi oltretutto va ricordato come Cristo s’identifica anche con l’immigrato nell’ultimo capitolo del Vangelo di Matteo, quando appunto dice: “Ero straniero e tu mi hai accolto!”. Diciamo che i valori sono quelli di sempre e anche con gli immigrati questi valori vanno esercitati. Indubbiamente l’immigrazione è una frontiera che pone con maggior rilievo la nostra capacità di essere persone che sanno vivere in profondità i valori che il Vangelo ci immette dentro, quindi da questo punto di vista, c’è un impegno che va comunque esteso a tutti. Poi gli immigrati in sé stessi, certamente, sono una categoria particolare che deve movimentare il rinnovamento, la catechesi, la liturgia, il nostro modo di essere Chiesa, quindi da questo punto di vista, diciamo che gli immigrati sono una risorsa, perché mettono in movimento quello che la Chiesa ha di meglio nelle sue radici e nel suo essere.

D. – Quindi da cristiani per fare di più occorre non solo guardare alle istituzioni civili, ma anche alle nostre realtà ecclesiali…

R. – Sì, mentre un tempo la missione era prendere, partire e andarsene in Paesi molto lontani, adesso la missione è qui da noi. Sono le nostre parrocchie che devono essere missionarie ed ogni cristiano che vive nel suo territorio deve dimostrare che è discepolo di Cristo nella misura in cui sa esercitare i valori della solidarietà, dell’apertura, del dialogo, della comprensione reciproca.







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