Il Papa invita a pregare perché la Chiesa sia casa di tutti, in particolare di quanti
fuggono da guerre, fame e discriminazioni
“Perché la Chiesa sia la ‘casa’ di tutti, pronta ad aprire le sue porte a quanti sono
costretti dalle discriminazioni razziali e religiose, dalla fame e dalla guerra ad
emigrare in altri Paesi”. E’ l’intenzione missionaria di preghiera del Papa per questo
mese di agosto. Roberta Gisotti ha chiesto una riflessione a padre Gianromano
Gnesotto, direttore della “Fondazione Migrantes”, l’Ufficio della Conferenza episcopale
italiana per la pastorale degli immigrati esteri in Italia e dei profughi:
D.
- Padre Gnesotto, questa intenzione - che arriva nel periodo estivo di maggiore
criticità per le persone in difficoltà - in che modo interpella la coscienza dei cristiani,
considerato che il fenomeno migratorio entra nelle nostre case ed abita le nostre
strade, sovente lasciandoci indifferenti al di là di preoccupazioni legate alla sicurezza
sociale?
R. – Le migrazioni sono per la Chiesa il segno visibile di
una realtà invisibile che è propria della natura stessa della Chiesa, che è quella
di un popolo in cammino. Dunque, i migranti ci ricordano questa realtà profonda, che
siamo qui in questa terra pellegrini e dobbiamo dunque avere i piedi piantati sì per
terra, ma lo sguardo rivolto verso il cielo, con quei valori che fanno della vita
della persona, una vita che sempre è valevole da qualsiasi punto di vista; e poi la
nostra Chiesa si riscopre con la sua vocazione cattolica fondamentale grazie anche
a questi immigrati cattolici che provengono da più parti.
D. – Padre
Gnesotto, si può fare di più nelle nostre parrocchie per promuovere una catechesi
appropriata di accettazione dell’immigrato, che non è altro da noi?
R.
– Esatto, l’immigrato è sempre nostro fratello, nostra sorella e questo qui, è il
punto fondamentale. Poi oltretutto va ricordato come Cristo s’identifica anche con
l’immigrato nell’ultimo capitolo del Vangelo di Matteo, quando appunto dice: “Ero
straniero e tu mi hai accolto!”. Diciamo che i valori sono quelli di sempre e anche
con gli immigrati questi valori vanno esercitati. Indubbiamente l’immigrazione è una
frontiera che pone con maggior rilievo la nostra capacità di essere persone che sanno
vivere in profondità i valori che il Vangelo ci immette dentro, quindi da questo punto
di vista, c’è un impegno che va comunque esteso a tutti. Poi gli immigrati in sé stessi,
certamente, sono una categoria particolare che deve movimentare il rinnovamento, la
catechesi, la liturgia, il nostro modo di essere Chiesa, quindi da questo punto di
vista, diciamo che gli immigrati sono una risorsa, perché mettono in movimento quello
che la Chiesa ha di meglio nelle sue radici e nel suo essere.
D. – Quindi
da cristiani per fare di più occorre non solo guardare alle istituzioni civili, ma
anche alle nostre realtà ecclesiali…
R. – Sì, mentre un tempo la missione
era prendere, partire e andarsene in Paesi molto lontani, adesso la missione è qui
da noi. Sono le nostre parrocchie che devono essere missionarie ed ogni cristiano
che vive nel suo territorio deve dimostrare che è discepolo di Cristo nella misura
in cui sa esercitare i valori della solidarietà, dell’apertura, del dialogo, della
comprensione reciproca.