2010-07-29 11:37:06

Benin. Le celebrazioni dei 150 anni di evangelizzazione e dei 50 anni di indipendenza


I centocinquant'anni di evangelizzazione in Benin. Dall'audacia dei primi missionari
alla primavera della Chiesa
(L’Osservatore Romano, Egidio Picucci)

Il Benin, piccolo Paese che si affaccia sul golfo di Guinea, celebra quest'anno due importanti anniversari: il 50° dell'indipendenza — 1° agosto 1960 — e il 150° della propria evangelizzazione. Le celebrazioni per quest'ultimo evento sono iniziate il 18 aprile scorso con una solenne concelebrazione di fronte alla prima chiesa costruita nel Paese, ad Agoué, nelle vicinanze di Ouidah, nel 1835. Concelebrazione presieduta da Antoine Ganyé, vescovo di Dassa-Zoumé e presidente della Conferenza episcopale del Benin, assistito dai vescovi del Paese e del vicino Togo.
Alla cerimonia hanno partecipato circa diecimila persone, tra cui il capo dello Stato, ministri, deputati e vari capi tradizionali di Agoué e delle zone circostanti. Presenti in gran numero religiosi e religiose di varie congregazioni che lavorano nel Benin e nelle regioni circostanti.
Nel corso della concelebrazione sono stati ordinati quattro sacerdoti — inviati poi in missione — e quattro diaconi della Società delle missioni africane, mentre due religiose delle suore Notre Dame des Apôtres hanno celebrato il loro giubileo di vita religiosa.
Tutto è avvenuto sul sagrato de la chapelle, posto tra la spiaggia e il cimitero, il luogo di sbarco e di sepoltura dei primi missionari, stroncati in giovanissima età soprattutto dalla febbre gialla.
Benché i primi tentativi di evangelizzazione del Benin — così dal 1975 si chiama l'ex Dahomey — siano iniziati nel 1485 e siano continuati con limitato successo nei secoli successivi con l'arrivo di undici cappuccini bretoni — cui, nel 1644, fu affidato il vicariato apostolico — di domenicani, di agostiniani e di religiosi di altri ordini, l'evangelizzazione vera e propria si ritiene iniziata il 16 aprile 1861, con lo sbarco a Ouidah dello spagnolo padre Francisco Fernandez e dell'italiano padre Francesco Borghero, della Società delle missioni africane, cui era stato affidato l'appena eretto — 28 agosto 1860 — vicariato apostolico dal Dahomy. Essi trovarono circa 800 battezzati a Ouidah, e altrettanti a Agoué.
Il merito dell'evangelizzazione del Paese va soprattutto ai missionari di questa congregazione che vi ha profuso sudore e sangue, e a cui, nel 1878 si unirono le suore di Notre Dame des Apôtres.
Dalla loro attività, difficile all'inizio — nel febbraio 1871 i giovani interni della missione di Ouidah fuggirono; un bambino morì e gli stregoni e i mercanti di schiavi imposero al re di Abomey di allontanare la missione, che riparò a Porto Novo — sono sorte le dieci diocesi attuali, tutte rette da vescovi indigeni. Circa un migliaio i sacerdoti impegnati nelle 312 parrocchie, a cui fanno capo oltre un milione e mezzo di battezzati, il 27,58 per cento della popolazione.
Con il clero diocesano collaborano oltre 2.500 tra religiosi e religiose — locali o stranieri — che hanno permesso alla Chiesa che è nel Benin di inviare in aiuto alle Chiese sorelle ben 435 operatori pastorali.
«La nostra Chiesa — ha scritto l'abbé Roméo Amoussouhoui — vive una promettente primavera che si traduce anche in un provvidenziale e costante aumento delle vocazioni maschili e femminili. I cattolici sono un vero lievito nella massa delle nostre cinquanta etnie; i nostri riti cattolici non sono soltanto espressioni di fede, ma anche mezzi di integrazione sociale; la vita dei battezzati influisce positivamente su quella di chi professa altre confessioni religiose, eccetto, forse, sul voodoo, religione ufficiale dello Stato, che ha resistito alle potenze coloniali, ai tentativi di evangelizzazione e perfino alla dittatura marxista-leninista che governò fra il 1972 e il 1989».
Per capire l'importanza di questa religione tradizionale — prosegue l'abbé — «basta pensare che, quando nel 1997 il presidente Kerekou omise un riferimento al voodoo nel suo giuramento presidenziale, le proteste della popolazione e una sentenza della Corte costituzionale lo costrinsero a ripetere il giuramento secondo la formula prestabilita. Contrariamente a quanto si pensa in occidente, il voodoo — propriamente detto Vodun — è una religione monoteistica secondo la quale il creato discende da un solo dio, Mawu, che non interagisce con gli uomini, ma delega tale compito a un insieme di spiriti. È a essi che i fedeli offrono sacrifici, con la speranza che esaudiscano desideri e richieste specifiche. Con le altre confessioni c'è un rapporto pacifico e rispettoso, anche se gli adepti di alcune sette inseriscono nelle loro cerimonie vesti e altri elementi della liturgia cattolica nel tentativo di dimostrare che “sono come gli altri cristiani”».
I missionari misero subito mano alle attività assistenziali, indispensabili per parlare di anima a chi si trovava ad affrontare gravi problemi di sopravvivenza. Non occorre ricordare nomi, ma dobbiamo dire che nelle scuole da loro aperte è iniziato il progresso del Benin. Un quaderno conservato a Agoué riporta il nome di tutti gli allievi e maestri che sono passati in questa scuola fra il 1874 e il 1914: 658 in quarant'anni.
Da esse sono usciti gli intellettuali che hanno fatto e scritto la storia del Paese, compreso monsignor Bernardin Gantin, divenuto primo cardinale nero dell'Africa. Le religiose hanno fatto la stessa cosa con le ragazze, contribuendo a dare consistenza alla famiglia, un traguardo che nel Benin, purtroppo, non è stato ancora raggiunto.
Il tema su cui le diocesi sono state chiamate a riflettere durante questo anno è quanto mai impegnativo: «Cristiano, prendi coscienza della tua speranza». Un impegno non indifferente di fronte alla proliferazione delle sette che garantiscono il benessere a gente che combatte con sacche di povertà endemica, soprattutto al Nord. Con le malattie, che il alcune zone sono curate ancora con il sorcier (stregone) di turno. Con la situazione in cui è tenuta tuttora l'infanzia, spesso abbandonata, più spesso sfruttata nelle piantagioni di caffè o di cacao delle nazioni vicine. Con un sincretismo religioso che non è certo compensato dalle chiese affollate e dai confessionali presi d'assalto per varie ore del giorno. «Ma una Chiesa così giovane — conclude abbé Amoussouhoui — saprà trovare la forza di reagire a quanto ne impedisce il cammino verso un approfondimento e una purificazione della fede».
Per l'anno della commemorazione, che si chiuderà il 21 agosto 2011, sono previste varie cerimonie religiose, una delle quali sulla spiaggia di Ouidha, alla Porte du retour, un arco alzato sul luogo in cui sbarcarono i missionari nel 1861, a due passi dalla Porte sans retour, eretta sulla sabbia bagnata ancora dalle lacrime degli schiavi portati in America latina.
«Venti anni fa, nel febbraio 1990 — ha detto Benedetto XVI il 28 maggio scorso nel discorso al nuovo ambasciatore del Benin — si riuniva la Conferenza delle Forze vive della Nazione. Questo importante evento, che non era solo politico, ma che testimoniava anche la relazione intima fra la fede e la sua espressione nella vita pubblica del Benin, ha determinato il vostro futuro e continua a ispirare il vostro presente (...) Per la realizzazione di un simile ideale occorrono unione fraterna, amore per la giustizia e valorizzazione del lavoro».
È quanto sta facendo l'episcopato anche nel ricordo di Isidore De Souza, l'indimenticato vescovo di Cotonou che prese parte a quella conferenza, imponendo — l'autorevolezza di cui godeva poteva permetterglielo — al presidente di dimettersi per avviare un nuovo corso che ha portato alla stabilità politico-sociale di cui gode oggi il Paese.







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