L’esarca patriarcale armeno cattolico di Gerusalemme sottolinea l’importanza del prossimo
Sinodo per il Medio Oriente
Il Sinodo per il Medio Oriente che si terrà in Vaticano nel mese di ottobre sarà l’occasione
per far luce sulla situazione della Chiesa d’Oriente. Nella sua molteplice realtà
– armena, greco ortodossa, greco cattolica – questa Chiesa vive in diversi Stati della
regione numerose difficoltà. E’ quanto sottolinea, al microfono di Amedeo Lomonaco,
mons. Rafael Minassian, esarca patriarcale della Chiesa armena cattolica di Gerusalemme:
R. – E’ vero
che questi Paesi sono definiti democratici – c’è la libertà di espressione, di culto
e così via – ma in realtà ci sono tante difficoltà. Tra un Paese e l’altro c’è sempre
una difficoltà di convivenza, di espressione della cristianità. Noi soffriamo drammaticamente
quest’esodo che continua e non cessa a causa della mancanza di libertà di espressione
e di culto. In Turchia specialmente – come in tutti gli altri Paesi musulmani – c’è
sempre questa difficoltà: non siamo sempre bene accettati sia dalla parte politica-sociale
e sia dalla parte religiosa.
D. – Cosa può dare la Chiesa d’Oriente
alla Chiesa universale?
R. – Questo Sinodo della Chiesa orientale –
Sinodo che nasce per iniziativa del Papa – è importante per la vita della Chiesa universale
nell'area orientale. Ci sono alcuni temi molto importanti. Il primo è: come si può
vivere questa fede cristiana in questa terra dove c’è un’oppressione sociale e politica?
Secondo: come possiamo convincere i nostri fedeli a rimanere in Oriente? Lavorando
sull’emigrazione, cercheremo in questo Sinodo una soluzione per rassicurare i fedeli,
malgrado tutte le difficoltà sociali e politiche. Bisogna fare in modo che possiamo
essere sicuri nell’esprimere qualsiasi modalità di crescita della fede cristiana.
Così possiamo dare anche una testimonianza a tutti coloro che non sono cristiani.
Questa è la nostra missione. Inoltre – e questo è ancora più importante – cerchiamo
di trovare cooperazione, collaborazione ed unità anche nella diversità, come è stato
scritto nell’Instrumentum Laboris. Se potessimo realizzare questo primo passo d’unità,
rispettandoci l’un l’altro, cooperando insieme in questi Paesi del Medio Oriente,
penso che, a priori, potrebbe essere già un 50 per cento di successo per questo Sinodo.