2010-07-25 09:33:20

Il mondo cattolico italiano chiede un rinnovato impegno per lo sviluppo del Mezzogiorno


In Italia, una famiglia meridionale su cinque non ha i soldi per andare dal medico e non si può permettere di pagare il riscaldamento. E’ quanto rivela il rapporto Svimez sull'economia del Mezzogiorno 2010, pubblicato in questi giorni. Secondo la ricerca, nel 2008, al 30% delle famiglie del Sud sono mancati i soldi per i vestiti e nel 16,7% dei casi si sono pagate in ritardo le bollette. Otto famiglie su 100, inoltrem hanno dovuto rinunciare ad alimentari necessari. Per una riflessione sulla situazione nel Mezzogiorno, Federico Piana ha intervistato l’economista Alberto Quadrio Curzio, preside della Facoltà di Scienze Politiche dell'Università Cattolica di Milano:RealAudioMP3  

R. – La questione meridionale è chiaramente molto complessa e io non credo che oggi la cosa più importante sia recriminare sul passato. Semmai il passato ci può e ci deve insegnare cosa di meglio possiamo fare nel futuro e sul futuro io vedo tre grandi direttrici per il Sud.

 

D. – Quali dovrebbero essere secondo lei queste direttrici?

 

R. – Premesso che le risorse finanziarie sono veramente molto poche nel nostro Paese, il sottofondo di queste direttrici è comunque ciò che lo Stato deve riportare: la legalità in quelle aree. Questa è una condizione essenziale per sviluppare le aree stesse. La condizione economica essenziale è il rilancio delle infrastrutture, ma non tanto le infrastrutture genericamente intese, ma quelle che possano costituire dei punti di approdo del Mediterraneo perché non dimentichiamolo: l’Italia è veramente un ponte nel Mediterraneo! La seconda grande filiera, a mio avviso, rimane quella del turismo. Qualcuno pensa a un turismo genericamente inteso: il mare, i bagni... No, non è solo questo. Il Mezzogiorno è il più formidabile giacimento anche di risorse archeologiche, uno dei più grandi del Mediterraneo. La terza grande direttrice è quella di catalizzare le forze imprenditoriali e a tal fine si possono trovare degli incentivi. Particolarmente apprezzato da parte mia è quello della “burocrazia zero”. Non vuol dire “Stato zero”, vuol dire intermediazione politico-burocratica azzerata. Stato forte, regioni forti, ma non intermediazione burocratica che scoraggi cittadini e imprese.

 

D. – Riferendosi alle crisi che stiamo vivendo si parla spesso di ammortizzatori sociali e indennità. Professore, a suo parere bastano questi due strumenti per fare ritornare il Sud in carreggiata?

 

R. – Io sono un grande sostenitore del principio di sussidiarietà coniugato con la solidarietà e lo sviluppo. Ebbene, il principio di sussidiarietà ci suggerisce di valorizzare a pieno quei corpi intermedi, quei soggetti sociali - il primo dei quali è certamente la famiglia, che è ben di più di un soggetto sociale ma è comunque anche un soggetto sociale - spostando a mio avviso il finanziamento attraverso questi soggetti sociali rispetto alla mera attivazione di forme di sussidi erogati dallo Stato. Ecco, io credo che si debba fare questo, cioè enfatizzare molto di più gli interventi dei corpi intermedi, naturalmente dando agli stessi gli strumenti adeguati per poter erogare quelli che sono servizi più vicini alla persona al territorio, a ciò che serve per davvero. Purtroppo, talvolta, le erogazioni burocratiche ci tranquillizzano la coscienza ma non raggiungono il fine. 

In aumento anche il preoccupante fenomeno delle “nuove povertà”. Una realtà su cui si sofferma padre Valerio Di Trapani, direttore della Caritas diocesana di Catania, sempre al microfono di Federico Piana:RealAudioMP3  

R. – Diciamo che alla povertà tradizionale, cioè fatta di famiglie con basso grado di istruzione, direi quella tradizionale, di persone che “si arrangiano”, di persone che fanno piccoli lavori o che sono disoccupati e che quindi vivono in case popolari o in situazioni anche abitative molto fragili, accanto a queste realtà si stanno affacciando anche dei professionisti, persone che hanno iniziato dei percorsi lavorativi anche di successo e che invece oggi si ritrovano in situazioni di grande difficoltà economica.

 

D. - I cosiddetti “nuovi poveri”…

 

R. – I cosiddetti “nuovi poveri”, cioè persone - che tra l’altro provengono da una situazione in cui erano loro ad aiutare gli altri, persone che lavoravano anche nella pastorale a livello diocesano - che oggi si ritrovano in una condizione che non avrebbero mai pensato. Ci sono tante situazioni: una donna che aveva lasciato il lavoro per occuparsi di più della famiglia perché il marito comunque aveva un lavoro sicuro presso un’azienda affermata. Ora si ritrova lei a dover cercare lavoro visto che il marito l’ha perso perché l’azienda ha chiuso. Quindi, situazioni di grande difficoltà, di grande sofferenza e direi anche di disperazione. 

Sulle cause della perdurante situazione di difficoltà nel Sud Italia, Luca Collodi ha raccolto la riflessione di mons. Antonio Riboldi, vescovo emerito di Acerra:RealAudioMP3  

R. – Per me, due sono le cose. La prima mi pare una certa trascuratezza da parte delle autorità che non hanno la stessa attenzione che hanno verso il Nord. Vi è una differenza di servizi tra il Nord e il Sud. Secondo, e per me è l’elemento essenziale, è il protagonismo della gente. Deve svegliarsi, la gente! Deve diventare protagonista! Oltre questo protagonismo, occorre anche un intervento, un occhio di giustizia. Può chiamarsi giusta questa Italia divisa in due?

 

D. – Secondo lei, come si può rilanciare lo sviluppo del Mezzogiorno? C’è una ricetta?

 

R. – Sensibilizzando la gente a non accettare questa forma di passività. Muoversi, far sentire la propria voce e quindi con loro, la politica; che la politica si svegli e che, a un bel momento, dica: “Il Mezzogiorno è Italia, e quindi ha i diritti di tutti gli italiani!”. Vi sono segni di speranza: bisogna farli emergere.(Montaggi a cura di Maria Brigini)








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