Argentina: Paese più diviso dopo la legge che introduce le unioni gay
In Argentina, il voto di mercoledì scorso con cui il Senato ha sancito la legalità
delle unioni gay, parificate in tutto e per tutto nei doveri e nei diritti al matrimonio,
ha fatto salire la tensione politica. Nei giorni scorsi migliaia di persone erano
scese in piazza in tutto il Paese a difesa della famiglia fondata sul matrimonio tra
un uomo e una donna. Ce ne parla Luis Badilla.
Dopo il voto
che ha dato il via libera alle unioni omosessuali, primo Paese dell’America del Sud,
l’Argentina appare più spaccata di prima e tutto fra presagire una lunga battaglia
legale sulla costituzionalità della nuova normativa. Guillermo Cartasso, consulente
laico dell'Episcopato argentino, ha osservato che questa legge "oltre a colpire gravemente
i rapporti di filiazione, nega ai bambini il proprio diritto all'identità e nega loro
di avere una madre e un padre". Cartasso ha affermato che "Il Senato ha dato il medesimo
trattamento a realtà sostanzialmente differenti e che sono diverse non per volere
dell'uomo o della cultura bensì della natura e della volontà di Dio". "Questa decisione,
formalmente democratica – ha aggiunto - calpesta delle verità naturali che non dipendono
da maggioranze o minoranze”. Il consulente della Conferenza episcopale ha quindi concluso:
"Ora siamo davanti ad una frattura sociale che non risolve nessun problema; anzi,
ne aggiunge di nuovi, tra cui dubbi di carattere costituzionale oltre a quelli riguardanti
i diritti e la protezione dell'infanzia". Intanto l'arcivescovo di San Juan, mons.
Alfonso Delgado, osserva che "questa legge non ha la legittimità sociale necessaria"(...)
"e provoca un grave danno al bene sociale". A suo avviso i legislatori hanno preferito
"rispettare il volere della minoranza e non quello della maggioranza". Mons. Alfonso
Delgado ritiene che alla fine la famiglia "è più forte e saprà difendersi da maggioranze
transitorie, raggiunte a volte, con delle coscienze sottomesse". Per la cronaca è
da registrare che il "sì" è passato con uno scarto di 6 voti su un totale di 63 votanti
dei 72 membri del Senato. Tre senatori, tra cui due ex presidenti della Repubblica,
si sono assentati al momento del voto e altri due, che avevano annunciato il voto
contrario alle unioni gay, erano in viaggio in Cina quali membri di una delegazione
presidenziale. Il presidente del Senato, che era apertamente contrario alla legge,
non ha potuto votare perché svolgeva le funzioni di capo di Stato ad interim in assenza
della signora Cristina Fernández de Kirchner, che si trova a Pechino. Da notare, inoltre,
il rifiuto di due proposte: la prima, quella di consentire di votare secondo coscienza
e non per ordine di Partito. Il diritto all’obiezione di coscienza, proposta della
senatrice Liliana Negre, è stata definita da un collega degna di uno “Stato totalitario”.
Seconda proposta, rifiutata subito senza nessuna discussione, quella di approvare
unioni civili senza diritto alla fecondazione assistita e alle adozioni di bambini.
Da ricordare infine, come si legge sulla stampa argentina, che due dei tre senatori
che poi si sono astenuti avevano annunciato inizialmente un voto contrario alla legge.
Altri senatori, contrari alle unioni gay, ritenendo ininfluente il loro voto, hanno
preferito andare al bar durante l’importante votazione. E’ chiaro, dunque, che se
non si fossero registrate tutte queste singolari coincidenze il progetto di legge
avrebbe avuto un altro destino.