Spagna in festa per la vittoria ai mondiali. L’arcivescovo di Accra: ora l'Africa
è più unita
Il primo mondiale di calcio organizzato in Africa si è chiuso ieri sera con la vittoria
della Spagna, che per la prima volta ha conquistato questo trofeo. La formazione iberica
ha superato l’Olanda e la rete segnata dallo spagnolo Andres Iniesta a pochi minuti
dalla fine del secondo tempo supplementare ha fatto esplodere, in tutto il Paese,
la gioia di milioni di persone. Una gioia che hanno assaporato, in parte, anche i
sostenitori della squadra africana del Ghana, arrivata ai quarti di finale. Per un
bilancio sui mondiali organizzati in Sudafrica ascoltiamo al microfono di Amedeo
Lomonaco l’arcivescovo di Accra, in Ghana, mons. Gabriel Charles Palmer-Buckle:
R.
– Coloro che hanno organizzato questi mondiali hanno fatto molto bene. Il Sudafrica
deve essere molto orgoglioso di quello che ha potuto fare.
D.
– E orgogliosi per quello che hanno potuto fare sono anche i giocatori del Ghana,
squadra superata solo ai quarti di finale dall’Uruguay...
R.
– L’Africa faceva il tifo per il Ghana. Questo vuol dire che il Continente si è sentito
veramente unito. Dobbiamo ringraziare il Signore che l’Africa si sia sentita veramente
unita in occasione di questa festa. L’Africa ormai è pronta a prendere il suo posto
tra le nazioni del mondo ed è anche orgogliosa di dove sia arrivato il Ghana.
D.
– Un altro segnale importante è che allo stadio tutti i sudafricani hanno tifato per
la propria squadra senza distinzioni tra giocatori bianchi e neri. Questo è stato
un altro importante segnale della guarigione delle ferite dell’apartheid...
R.
– Il Paese si è sentito unito alla squadra del Sudafrica e ha anche accolto i giocatori
provenienti da tutte le parti del mondo, senza dare adito a nessun tipo di razzismo.
Come diceva il vescovo anglicano Desmond Tutu, vedere questo è stato come vedere avverarsi
un sogno. Sono davvero convinto che questa esperienza, che ha vissuto il Sudafrica,
porterà dei frutti fra dieci, quindici anni, e li vedremo proprio in Sudafrica, una
nazione molto unita, grintosa nel fare quello che deve fare. Poi credo che porterà
dietro alla sua scia tutto il continente, tutti i Paesi africani. Credo che il messaggio
che viene fuori sia che lo sport è molto importante. Per unire tutti i popoli dobbiamo
far sì che lo sport possa portare dei valori e quello spirito di disciplina grazie
al quale poter realizzare gli obiettivi che ci si pone. Ma per questo dobbiamo attendere
ancora una decina di anni.
D. – Un senso comunitario
che si può anche vedere in quel lungo applauso commovente, toccante, nei confronti
di Mandela. Quell’applauso sintetizza il riscatto di un intero continente...
R.
– Mandela rimane un dono di Dio, ma è un dono di Dio per tutta l’umanità. Un uomo
che ha sofferto 27 anni e che ora non porta nessun rancore, ma fa di tutto perché
il continente possa credere in se stesso, malgrado tutto il passato, il colonialismo,
il post-colonialismo, un continente che possa dire: “Possiamo anche noi offrire tanto
all’umanità”.
Non solo l’Africa è stata unita da un profondo legame rinsaldato
dallo sport. Anche la Spagna, dove in più occasioni i sentimenti regionali si sono
contrapposti a quelli nazionali, ha vissuto con un rinnovato spirito unitario il successo
sportivo ai mondiali. E’ quanto sottolinea al microfono di Luca Collodi, Yago de
la Cierva, direttore esecutivo della Giornata Mondiale della Gioventù di Madrid
2011:
R. - Rappresenta
un elemento di integrazione sociale e territoriale, che di solito non abbiamo tanto.
Il fatto che sia stato celebrato anche a Victoria, a Barcellona, a Bilbao e in tutte
le città spagnole, credo che debba essere visto come un fattore molto molto positivo.
D. - La Chiesa spagnola come sta vivendo questa festa?
R.
- C’è grande gioia. Speriamo che la Coppa - come viene fatto di solito - venga presentata
anche alla Madonna de la Almudena, la patrona di Madrid. Penso che tutti quanti siano
felicissimi.
D. - Lei è il direttore esecutivo della
prossima Giornata Mondiale della Gioventù di Madrid: questa vittoria della Spagna
può ulteriormente aiutare l’organizzazione di questo momento così importante non solo
nella storia della Chiesa, ma anche per un Paese?
R.
- Certamente, questo ha ridato un po’ di gioia alla società, perché siamo immersi
in una crisi economica molto forte. E’ quindi certamente un motore di gioia, così
come un motore di speranza.
D. - Si conferma comunque
il valore sociale del calcio...
R. - Soprattutto anche
di questo calcio. Così è stato vissuto in Spagna, perché non si è trattato di un trionfo
di individualismi, ma è stato un trionfo di squadra. Sono ragazzi puliti e non ci
sono stati protagonismi di sorta. Ci sono stati soltanto tre giocatori e due portieri
che non hanno partecipato neanche un minuto, ma tutti quanti hanno lavorato sodo e
così viene visto da tutti gli spagnoli: un trionfo di tutti. (Montaggio
a cura di Maria Brigini)