2010-07-12 15:53:42

Mons. Shomali: un muro contro la libertà


Mentre a livello internazionale si tenta di far riprendere i negoziati diretti tra israeliani e palestinesi, il muro che separa Israele dalla Cisgiordania ha compiuto un triste anniversario. Il 9 luglio di sei anni fa la Corte internazionale di giustizia dichiarava illegale la barriera, che era stata iniziata due anni prima. Fino ad oggi sono stati costruiti 707 km di muro, che ricoprono oltre il 60% del confine. Secondo l’OCHA, l’Ufficio per il coordinamento delle questioni umanitarie dell’ONU, moltissimi contadini palestinesi sono stati separati dai loro campi e in troppi hanno grandi difficoltà a raggiungere gli ospedali di Gerusalemme Est. Le porte nel muro sono aperte solo per alcune ore. Israele, da parte sua, continua a ignorare la sentenza adducendo motivi di sicurezza. In ogni caso, l’isolamento della Cisgiordania mette a dura prova la popolazione. Fausta Speranza ne ha parlato con mons. William Shomali, vescovo ausiliare della diocesi patriarcale di Gerusalemme dei Latini:RealAudioMP3



R. – La situazione adesso è di chiusura totale. La cosa più grave non è solo quella del muro, ma è la politica dietro al muro, che impedisce ai palestinesi di andare e venire con libertà, impedisce la libertà di circolazione, la libertà di commercio e specialmente separa Gerusalemme dalle altre parti dei Territori. Gerusalemme è stata occupata nel 1967, durante la Guerra dei sei giorni, ma subito dopo la guerra è stata dichiarata parte integrante di Israele. E qui il grosso problema, per cui Gerusalemme è rivendicata dai due popoli come loro capitale. Come vede, il problema del muro è più grave del fatto di volere soltanto separare, perché impedisce anche di arrivare al punto più importante per i palestinesi: Gerusalemme.

 

D. – Giovanni Paolo II raccomandava ponti e non muri, il muro divide anche la popolazione, anche le anime, anche il vissuto della gente?

 

R. – Sì, sì. Infatti, bisogna risolvere il problema del muro in un contesto più grande, quello di un negoziato di pace. Non si può risolvere un solo problema, perché fa parte di una situazione di sfiducia fra due popoli, di un problema di fondo fra due popoli. In realtà noi preghiamo e aspettiamo una soluzione integrale, dove tutti i punti - Gerusalemme, il futuro Stato palestinese, il muro, il problema delle acque, il ritorno dei profughi, il problema degli insediamenti - i tanti problemi siano risolti in un clima di fiducia. Questo clima non c’è ancora, ma sappiamo che il presidente degli Stati Uniti Obama sta lavorando, impegnandosi seriamente per risolvere questo problema. Speriamo che il Signore lo aiuti a convincere specialmente Israele, che ha la chiave della soluzione, ad accettare la legittimità internazionale.

 

D. – Da questo punto di vista lei accennava all’impegno della comunità internazionale, degli Stati Uniti in particolare, per la ripresa di colloqui diretti. Al momento, quello che si riesce a fare sono soltanto colloqui indiretti. Ecco, siamo in una situazione di stallo da settembre del 2008. Lo stallo su questa terra così disastrata, dopo anni di guerra, che cosa significa? Non può significare soltanto stare fermi, significa anche tornare indietro, non è così?

 

R. – Sì, chi non avanza va indietro. Siamo in una situazione statica, andiamo indietro perché c’è una volontà di non risolvere. Come accennato c’è un problema ideologico e grave. Non c’è solo un problema territoriale politico o di conflitto militare, ma dietro tutto questo c’è un problema grosso, c’è una situazione, un atteggiamento di fondo, nel quale Israele non accetta il termine di “territori occupati”. Allora se Israele non ha rubato niente, perché fare negoziati? C’è, dunque, un problema grosso: Israele dice che ha recuperato i territori che appartengono ad Israele da 3000 anni. Allora siamo davanti ad un problema religioso e storico. Abbiamo bisogno veramente di grandi preghiere e che il Signore metta la sua mano per risolvere questo problema.








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