Il Papa nella Messa a Sulmona: società troppo chiassosa, recuperare il silenzio del
cuore
Benedetto XVI celebra la Messa di fonte a migliaia di persone che partecipano alla
Messa in Piazza Garibaldi, a Sulmona. Di seguito, il testo integrale dell’omelia pronunciata
dal Papa:
Cari fratelli e sorelle!
Sono molto lieto di essere oggi
in mezzo a voi e celebrare con voi e per voi questa solenne Eucaristia. Saluto il
vostro Pastore, il Vescovo Mons. Angelo Spina: lo ringrazio per le calorose espressioni
di benvenuto che mi ha rivolto a nome di tutti, e per i doni che mi ha offerto e che
apprezzo molto nella loro qualità di “segni” - come li ha definiti - della comunione
affettiva ed effettiva che lega il popolo di questa cara Terra d’Abruzzo al Successore
di Pietro. Saluto gli Arcivescovi e i Vescovi presenti, i Sacerdoti, i Religiosi e
le Religiose, i rappresentanti delle Associazioni e dei Movimenti ecclesiali. Rivolgo
un deferente pensiero al Sindaco, Dottor Fabio Federico, grato per il cortese indirizzo
di saluto, al rappresentante del Governo ed alle Autorità civili e militari. Un ringraziamento
speciale a quanti hanno generosamente offerto la loro collaborazione per realizzare
questa mia Visita Pastorale. Cari fratelli e sorelle! Sono venuto per condividere
con voi gioie e speranze, fatiche e impegni, ideali e aspirazioni di questa Comunità
diocesana. So bene che anche a Sulmona non mancano difficoltà, problemi e preoccupazioni:
penso, in particolare, a quanti vivono concretamente la loro esistenza in condizioni
di precarietà, a causa della mancanza del lavoro, dell’incertezza per il futuro, della
sofferenza fisica e morale e - come ha ricordato il Vescovo - del senso di smarrimento
dovuto al sisma del 6 aprile 2009. A tutti voglio assicurare la mia vicinanza ed il
mio ricordo nella preghiera, mentre incoraggio a perseverare nella testimonianza dei
valori umani e cristiani così profondamente radicati nella fede e nella storia di
questo territorio e della sua popolazione.
Cari amici! La mia Visita avviene
in occasione dello speciale Anno Giubilare indetto dai Vescovi dell’Abruzzo e del
Molise per celebrare gli ottocento anni della nascita di san Pietro Celestino. Sorvolando
il vostro territorio, ho potuto contemplare la bellezza del paesaggio e, soprattutto,
ammirare alcune località strettamente legate alla vita di questa insigne figura: il
Monte Morrone, dove Pietro condusse per molto tempo vita eremitica; l’Eremo di Sant’Onofrio,
dove nel 1294 lo raggiunse la notizia della sua elezione a Sommo Pontefice, avvenuta
nel Conclave di Perugia; e l’Abbazia di Santo Spirito, il cui altare maggiore venne
da lui consacrato dopo la sua incoronazione, avvenuta nella Basilica di Collemaggio
a L’Aquila. In questa Basilica io stesso, nell’aprile dell’anno scorso, dopo il terremoto
che ha devastato la Regione, mi sono recato per venerare l’urna con le sue spoglie
e lasciare il pallio ricevuto nel giorno dell’inizio del mio Pontificato.
Sono
passati ben ottocento anni dalla nascita di san Pietro Celestino V, ma egli rimane
nella storia per le note vicende del suo tempo e del suo pontificato e, soprattutto,
per la sua santità. La santità, infatti, non perde mai la propria forza attrattiva,
non cade nell’oblio, non passa mai di moda, anzi, col trascorrere del tempo, risplende
con sempre maggiore luminosità, esprimendo la perenne tensione dell’uomo verso Dio.
Dalla vita di san Pietro Celestino vorrei allora raccogliere alcuni insegnamenti,
validi anche ai nostri giorni.
Pietro Angelerio sin dalla sua giovinezza
è stato un “cercatore di Dio”, un uomo desideroso di trovare risposte ai grandi interrogativi
dell’esistenza: chi sono, da dove vengo, perché vivo, per chi vivo? Egli si mette
in viaggio alla ricerca della verità e della felicità, si mette alla ricerca di Dio
e, per ascoltarne la voce, decide di separarsi dal mondo e di vivere da eremita. Il
silenzio diventa così l'elemento che caratterizza il suo vivere quotidiano. Ed è proprio
nel silenzio esteriore, ma soprattutto in quello interiore, che egli riesce a percepire
la voce di Dio, capace di orientare la sua vita. C’è qui un primo aspetto importante
per noi: viviamo in una società in cui ogni spazio, ogni momento sembra debba essere
“riempito” da iniziative, da attività, da suoni; spesso non c’è il tempo neppure per
ascoltare e per dialogare. Cari fratelli e sorelle! Non abbiamo paura di fare silenzio
fuori e dentro di noi, se vogliamo essere capaci non solo di percepire la voce di
Dio, ma anche quella di chi ci sta accanto, degli altri.
Ma è importante
sottolineare anche un secondo elemento: la scoperta del Signore che fa Pietro Angelerio
non è il risultato di un suo sforzo, ma è resa possibile dalla Grazia stessa di Dio,
che lo previene. Ciò che egli aveva, ciò che egli era, non gli veniva da sé: gli era
stato donato, era grazia, ed era perciò anche responsabilità davanti a Dio e davanti
agli altri. Sebbene la nostra vita sia molto diversa, anche per noi vale la stessa
cosa: tutto l’essenziale della nostra esistenza ci è stato donato senza nostro apporto.
Il fatto che io viva non dipende da me; il fatto che ci siano state persone che mi
hanno introdotto nella vita, che mi hanno insegnato cosa sia amare ed essere amati,
che mi hanno trasmesso la fede e mi hanno aperto lo sguardo a Dio: tutto ciò è grazia,
non è fatto da me. Da noi stessi non avremmo potuto fare nulla se non ci fosse stato
donato: Dio ci anticipa sempre e in ogni singola vita c’è del bello e del buono che
noi possiamo riconoscere facilmente come sua grazia, come raggio di luce della sua
bontà. Per questo dobbiamo essere attenti, tenere sempre aperti gli “occhi interiori”,
quelli del nostro cuore. E se noi impariamo a conoscere Dio nella sua bontà infinita,
allora saremo capaci anche di vedere, con stupore, nella nostra vita – come i Santi
– i segni di quel Dio, che ci è sempre vicino, che è sempre buono con noi, che ci
dice: “Abbi fede in me!”.
Nel silenzio interiore, nella percezione della presenza
del Signore, Pietro del Morrone aveva maturato, inoltre, un’esperienza viva della
bellezza del creato, opera delle mani di Dio: ne sapeva cogliere il senso profondo,
ne rispettava i segni e i ritmi, ne faceva uso per ciò che è essenziale alla vita.
So che questa Chiesa locale, come pure le altre dell’Abruzzo e del Molise, sono attivamente
impegnate in una campagna di sensibilizzazione per la promozione del bene comune e
della salvaguardia del creato: vi incoraggio in questo vostro sforzo, esortando tutti
a sentirsi responsabili del proprio futuro, come pure di quello degli altri, anche
rispettando e custodendo la creazione, frutto e segno dell’Amore di Dio.
Nella
seconda lettura di oggi, tratta dalla Lettera ai Galati, abbiamo ascoltato
una bellissima espressione di san Paolo, che è anche un perfetto ritratto spirituale
di san Pietro Celestino: «Quanto a me non ci sia altro vanto che nella croce del Signore
nostro Gesù Cristo, per mezzo della quale il mondo per me è stato crocifisso, come
io per il mondo» (6,14). Davvero la Croce costituì il centro della sua vita, gli diede
la forza per affrontare le aspre penitenze e i momenti più impegnativi, dalla giovinezza
all’ultima ora: egli fu sempre consapevole che da essa viene la salvezza. La Croce
diede a san Pietro Celestino anche una chiara coscienza del peccato, sempre accompagnata
da un’altrettanto chiara coscienza dell’infinita misericordia di Dio verso la sua
creatura. Vedendo le braccia aperte e spalancate del suo Dio crocifisso, egli si è
sentito portare nel mare infinito dell’amore di Dio. Come sacerdote, ha fatto esperienza
della bellezza di essere amministratore di questa misericordia assolvendo i penitenti
dal peccato, e, quando fu eletto alla Sede dell’Apostolo Pietro, volle concedere una
particolare indulgenza, denominata “La Perdonanza”. Desidero esortare
i sacerdoti a farsi testimoni chiari e credibili della buona notizia della riconciliazione
con Dio, aiutando l’uomo d’oggi a recuperare il senso del peccato e del perdono di
Dio, per sperimentare quella gioia sovrabbondante di cui il profeta Isaia ci ha parlato
nella prima lettura (cfr Is 66,10-14).
Infine, un ultimo elemento:
san Pietro Celestino, pur conducendo vita eremitica, non era “chiuso in se stesso”,
ma era preso dalla passione di portare la buona notizia del Vangelo ai fratelli. E
il segreto della sua fecondità pastorale stava proprio nel “rimanere” con il Signore,
nella preghiera, come ci è stato ricordato anche nel brano evangelico odierno: il
primo imperativo è sempre quello di pregare il Signore della messe (cfr Lc
10,2). Ed è solo dopo questo invito che Gesù definisce alcuni impegni essenziali del
discepolo: l’annuncio sereno, chiaro e coraggioso del messaggio evangelico - anche
nei momenti di persecuzione – senza cedere né al fascino della moda, né a quello della
violenza o dell’imposizione; il distacco dalle preoccupazioni per le cose - il denaro
e il vestito – confidando nella Provvidenza del Padre; l’attenzione e cura in particolare
verso i malati nel corpo e nello spirito (cfr Lc 10,5-9). Queste furono anche
le caratteristiche del breve e sofferto pontificato di Celestino V e queste sono le
caratteristiche dell’attività missionaria della Chiesa in ogni epoca.
Cari
fratelli e sorelle! Sono in mezzo a voi per confermarvi nella fede. Desidero esortarvi,
con forza e con affetto, a rimanere saldi in quella fede che avete ricevuto, che dà
senso alla vita e che dona la forza di amare. Ci accompagnino in questo cammino l’esempio
e l’intercessione della Madre di Dio e di san Pietro Celestino. Amen!