Più impegno contro la discriminazione dei minori disabili: l’appello del prof.
Ugazio, presidente dei pediatri italiani
Una guardia giurata di un centro commerciale di Reggio Emilia è stata denunciata,
nei giorni scorsi, perché avrebbe allontanato da un ristorante del centro una bambina
autistica che stava pranzando con la propria educatrice. La bambina sarebbe stata
allontanata perché “non gradita” agli altri clienti. La vicenda riporta drammaticamente
in primo piano il tema della discriminazione nei confronti dei disabili. Eliana
Astorri ha chiesto al prof. Alberto Giovanni Ugazio, presidente della Società
italiana di pediatria (Sip), di commentare la vicenda:
R. - Il bambino
è il nostro futuro, è il nostro avvenire e lo sono naturalmente tutti i bambini. Non
dimentichiamo che un numero sempre più elevato di bambini, per fortuna e a differenza
di quanto succedeva in passato, sopravvive anche se affetto da malattie gravi e diventa
un bambino che ha dei problemi. Non solo convivere, ma anche proteggere e favorire
la qualità di vita di questi bambini, che hanno delle problematiche croniche, è uno
dei doveri della nostra società. Per i pediatri questo è un problema molto molto importante.
D.
- Professore, chi è il bambino autistico?
R. - Il
bambino autistico è un bambino che ha dei problemi soprattutto relazionali. Spessismo
– come è noto – il bambino autistico è un bambino molto intelligente, molto preparato,
molto sensibile, ma ha problemi nell’esprimersi con gli altri e quindi nel venire
a contatto con gli altri. Ha bisogno di sostegno, ha bisogno di comprensione, ma è
un bambino che se si introduce in un nucleo sociale, se si introduce nella scuola,
può dare moltissimo sia in termini più ampiamente umani, sia anche in termini di contributi
tecnico-scientifici, perché indubbiamente è un bambino che molto, molto spesso ha
una intelligenza superiore alla norma.
D. - Un bambino
autistico si rende conto se intorno a lui c’è una situazione mortificante?
R.
- Sì, nella maniera più assoluta. Naturalmente, non dobbiamo farci ingannare dalle
sue reazioni. Certamente, è un bambino che soffre, che soffre molto. Io credo che
questo richieda soprattutto conoscenza da parte di tutti. Perché se chi lo vede pensa,
anche senza rendersene conto, che sia un bambino che non capisce nulla e se non lo
sa può ritenere – anche in buona fede – che questo bambino non si renda conto della
situazione, costui rischia di fare dei gravi errori o peggio ancora quando c’è una
volontà vera e proprio di offendere un bambino perché è diverso. Questa è una cosa
intollerabile sul piano non soltanto etico, ma direi su quello più ampiamente sociale.
D.
- Qual è il lavoro dei pediatri per far crescere l’attenzione e il rispetto verso
il bambino, quello più indifeso soprattutto?
R. -
Il lavoro dei pediatri è molto importante, a mio avviso. Lo è prima di tutto quello
quotidiano del pediatra che parla con le famiglie, lo è tramite i media. La Società
italiana di pediatria ha fondato da qualche mese una rivista dedicata alle famiglie,
alla scuola e alle associazioni di volontariato, con la quale cerca di far passare
questi messaggi di solidarietà che sono fondamentali, se vogliamo assicurare a questi
bambini una vita piena e degna non solo di essere vissuta, ma anche di alto livello.
Credo che sempre più – e qui c’è un punto che ci è particolarmente caro e che speriamo
che il ministero lo raccolga – i pediatri dovrebbero partecipare sempre più attivamente
alla vita della scuola, proprio nella formazione degli insegnanti: questo per far
conoscere le realtà dei bambini con malattie croniche, che sono poi i bambini che
regolarmente frequentano la scuola, perché possano avere nella scuola l’accoglienza
che è loro dovuta. (Montaggio a cura di Maria Brigini)