Il ricordo un anno dopo della strage di Viareggio nelle parole dell'arcivescovo di
Lucca, Italo Castellani
Ieri sera alle 23.50, Viareggio si è fermata per ricordare la strage di un anno fa,
quando 32 persone morirono per l’esplosione di un vagone ferroviario carico di Gpl.
La cittadina ha ricordato i suoi morti nella strada vicina alla ferrovia, via Ponchielli,
dove abitavano la gran parte delle vittime, dopo un corteo per le strade del centro
e una preghiera interreligiosa allo stadio dei Pini. Su richiesta dei parenti delle
vittime non erano presenti rappresentanti delle Istituzioni nazionali. Il presidente
della Repubblica, Napolitano, in un messaggio ha rivolto un pensiero “commosso” alle
32 vittime. E’ stata conferita la cittadinanza italiana ad una ragazza marocchina,
Ibtissam Ayad, di 22 anni che ha giurato sulla Costituzione italiana inviata dal presidente
Napolitano. Nella strage di un anno fa, perse tutta la famiglia. Al microfono di Luca
Collodi, il ricordo dell’anniversario della strage di Viareggio nelle parole di
mons. Benvenuto Italo Castellani, arcivescovo di Lucca, presente ieri sera
a Viareggio. R. – Queste
ferite la gente le sente vivere sulla propria pelle. La città piange, quindi fa memoria
dei propri morti e feriti, ma a me sembra che abbia la passione, la forza per vivere
questo momento, la fede anche per chiedere giustizia, senza rancore e cattiveria.
Io questo lo colgo nel cuore della gente, al di là di quello che può apparire dalla
stampa. Non c’è rancore, non c’è cattiveria nella gente, soprattutto nelle famiglie
che hanno perso le persone care, ma vivono nella consapevolezza del valore assoluto
della persona e delle vite umane. Questo è il senso profondo di questa ferita aperta
e anche di alcune divisioni che in questo momento emergono con una certa forza.
D.
– Il primo anniversario della strage di Viareggio è ricordato anche nella preghiera.
Lei che cosa ha detto alle persone che sono state colpite da questo dramma?
R.
– Prendo spunto proprio dall’incontro a casa di Marta e Maria, nella casa di Lazzaro,
dove Marta dice a Gesù: “Signore, se tu fossi stato qui mio fratello non sarebbe morto”.
Partendo da questo messaggio e dalla Parola di Dio, invito la mia gente a ripartire
da quei volti di bambini, di giovani, ragazze, donne, donne mature, anche stranieri,
che qui avevano trovato rifugio e cittadinanza, a consegnarsi al Dio della vita. E
nello stesso tempo, invito questo mio popolo, che porta nel corpo e nell’anima i segni
indelebili di quella notte, che porta sofferenza, paura e angoscia e mutilazioni,
a imparare da Gesù la pazienza degli umili, dei semplici, dei poveri. Pazienza che
non è rassegnazione – in fondo, anche Gesù non si è mai rassegnato – ma la capacità
di resistere ad una situazione terribile senza perdere dignità e coraggio e di saper
soffrire senza arrendersi. Quindi dire, sì, al Signore: “Signore se fossi stato qui”,
però con speranza. E invito la mia comunità a trovare risposta e senso proprio in
Gesù Resurrezione e Vita. Gesù ha rotolato la tomba del sepolcro e da lì in poi è
scaturita la resurrezione e la vita per ciascuno di noi.
D. – Che cosa
ci deve insegnare questa tragedia e queste 32 persone morte?
R. – A
me sembra che la lezione di vita che emerge fin dal primo momento, e continuamente,
sia quella di una grande solidarietà della gente verso i propri vicini, verso le persone
che hanno avuto queste grosse ferite nell’anima e nel corpo. Poi, ho visto sin dal
primo momento ancora la gratuità di tanto volontariato e la professionalità nel lavoro.
Penso a tutti coloro che hanno portato soccorso. E ho visto scaturire da questa tragedia
un forte senso della comunità, sia ecclesiale che civile, e la fede, scaturita con
spontaneità: significa che c’è nelle radici una profondità di cuore dei viareggini.
(Montaggio a cura di Maria Brigini)