Cina e Taiwan hanno firmato in questi giorni uno storico accordo economico, impegnandosi
a ridurre i propri dazi per rafforzare gli scambi commerciali. L’intesa rappresenta
il primo importante passo verso la riconciliazione a 60 anni dalla guerra civile:
l’isola si è sempre proclamata indipendente ma Pechino la considera una provincia
ribelle. Questo risultato potrà davvero consentire il superamento delle vecchie divergenze
del passato? Eugenio Bonanata lo ha chiesto a Fernando Mazzetti, giornalista
esperto dell’area:
R. - Che
l’integrazione economica possa avvenire, non c’è dubbio, ma non fino al punto da essere
vera e propria integrazione politico-sociale. I taiwanesi, ormai da decenni, hanno
assaporato il gusto della libertà e della democrazia e non ci staranno.
D.
- Cosa comporta economicamente questo accordo?
R. -
Queste intese abbasseranno le tariffe doganali sulle esportazioni di Taiwan verso
la Cina e quelle delle Cina verso Taiwan. E’ chiaro che nell’immediato chi se ne gioverà
di più è Taiwan, perché - secondo i termini dell’accordo - il 16 per cento delle esportazioni
di Taiwan verso la Cina verrà toccato in modo favorevole da queste intesa e quindi
una fortissima riduzione dei dazi doganali, se non addirittura esenzione totale. Queste
stesse intese fissate nell’accordo, invece, riguardano soltanto il 10 per cento delle
esportazioni della Cina verso Taiwan.
D. - In questi
giorni ci sono state manifestazioni di protesta a Taiwan, chiedendo che l’intesa venga
sottoposta a referendum. Perché?
R. - I piccoli produttori
di Taiwan temono che l’isola possa essere invasa da prodotti della Cina continentale
a basso costo, mettendoli così fuori mercato. Tutto si riassume nell’opposizione politica
all’accordo, perché si teme che Taiwan si leghi troppo alla Cina continentale in termini
economici, diventando parte del sistema economico della Cina continentale e quindi
eccessivamente dipendente da Pechino.