"L'ultimo volo", il documentario di Folco Quilici cerca la verità sull'abbattimento
dell'aereo di Italo Balbo nel 1940, con a bordo il padre dello scrittore
Il 28 giugno del 1940 precipitava a Tobruk, nella Libia coloniale, l’aereo di Italo
Balbo. Caso ancora misterioso di “fuoco amico”, il tragico incidente non ha mai smesso
di animare le interpretazioni degli storici italiani. Anche quella del documentarista
Folco Quilici che perse in quell’occasione il padre e che in sua memoria ha girato
“L’ultimo volo”, prodotto da Cinecittà Luce, in onda questa sera in seconda serata
su Rete Quattro di Mediaset. Il regista già si concentra sul nuovo progetto dedicato
ai festeggiamenti del 150.mo dell’unità d’Italia. Il servizio di Luca Pellegrini:
L’Italia
di settanta anni fa e un fatto che ne ha cambiato il corso storico: sui cieli di Tobruk,
nella Libia allora colonia Italia, precipitava l’aereo di Italo Balbo, comandante
del fronte libico allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale. Storici e politologi
hanno fin da quei giorni cercato di interpretare quanto accadde e perché: un “fuoco
amico” che distrusse la carriera ambiziosa di un cosiddetto eroe dell’aria e molte
domande che ancora non hanno ricevuto risposta, nell’ambito dell’interpretazione della
storia coloniale italiana e dei tanti misfatti dell’era fascista. Ma uno studioso,
che storico non è, rimase allora e ancor oggi colpito da vicino e negli affetti familiari
per quel drammatico incidente: Folco Quilici, infatti, documentarista
di fama, appassionato di natura, perdeva in giovanissima età il padre, che su quell’aereo
era al seguito di Balbo come diligente redattore di un diario oggi gelosamente custodito.
E’ cresciuto con l’incombere del mistero di quella morte e ora, attraverso un interessantissimo
documentario preparato appositamente per la ricorrenza, cerca di trovare la verità
della sua famiglia tra le pieghe della mancata verità di questo capitolo della storia
italiana:
R. - Non è che cambia la storia della mia
famiglia, purtroppo. E’ cambiato un po’ il destino e certamente sì, mio padre non
sarebbe partito avendo 50 anni. E’ morto nella Seconda Guerra Mondiale. Tutta la famiglia
sarebbe stata molto avvantaggiata ed io avrei avuto un padre che mi avrebbe guidato
più direttamente di quanto, tuttavia, è riuscito a fare lo stesso.
D.
- Lei dice che questo segmento nel suo documentario è qualche cosa di incredibilmente
interessante per la storia italiana. In quale senso: che cosa sappiamo di più che
non sapevamo, tramite il suo documentario, sulla storia?
R.
- Il documentario, casomai, può essere solo uno spunto per trovare un momento molto
importante: la dimostrazione che c’era una forza, in Italia, che non voleva quella
guerra, che c’era una forza, in Italia, che tentava una soluzione davanti a questo
fatto che tutto sarebbe stato perduto se non si fosse trovata una soluzione. Certamente,
la storia d’Italia, se Balbo non fosse morto, sarebbe stata diversa. Io mi sono chiesto
molte volte se mai si sarebbe arrivati al 25 luglio.
D.
- Quilici, quei ricordi dell’Italia di settant’anni fa la riportano ad un passato
più remoto, al 150.mo dell’unità italiana che quest’anno si festeggia e al quale lei
dedicherà il suo prossimo lavoro televisivo. Dagli anni nei quali una retorica opprimente
comunicava l’ideale di un’Italia indivisibile, al nostro tempo in cui proprio quell’ideale
è colpito da frizioni e larvate contestazioni. Perché allora questa nuova proposta
televisiva sull’unità d’Italia, scritta particolarmente per i giovani?
R.
- Secondo me, ai ragazzi di oggi dovrebbero far leggere la storia dei Mille. Bisogna
vedere che cos’era l’entusiasmo, il credere nell’Italia in quel momento, in maniera
ingenua, in maniera certamente anche criticabile sotto certi aspetti, ma vedere quest’amore
enorme del Nord per il Sud. I Mille sono quasi tutti di Bologna, Brescia, Bergamo,
Como, perché c’era questo desiderio di conoscere tutti. Poi, è interessantissimo anche
l’incontro con i siciliani. Ma quanto s’impara da quegli incontri. La diffidenza che
diventa poi invece confidenza, che diventa una scoperta reciproca. Due mondi lontanissimi,
che però scoprono di avere molto in comune.
D. - Ma
quali sono, allora, i valori che emergono nel realizzarsi dell’unità italiana?
R.
- Sono valori molto diversi. Chi immaginerebbe una Napoli solamente "canterina" e
"pizzaiola"? Invece, Napoli arrivava, all’unità d’Italia, con l’eredità di una grossa
scuola di meccanica. Avevano fatto le prime ferrovie in Italia. Oppure, la Toscana
primo Stato al mondo, il Granducato di Toscana che abolì la pena di morte. Poi, soprattutto,
l’agglomerarsi in un unico, enorme museo. Questa nostra ricchezza, che è unica al
mondo, perché va dalla preistoria al tempo moderno, è un unico, grande patrimonio
che fa sì che l’Italia, unendosi, diventi il più grande Paese al mondo che ha più
patrimonio culturale, che forse è più importante del Paese che ha più soldi in banca.
(Montaggio a cura di Maria Brigini)