La Turchia ha deciso di chiudere il proprio spazio aereo ad Israele, in seguito al
raid della Marina israeliana del 31 maggio scorso contro un convoglio di navi che
portavano aiuti umanitari a Gaza e che costò la vità a nove cittadini turchi. Lo ha
riferito l'agenzia turca Anadolu, citando dichiarazioni rese dal premier Erdogan.
Da parte sua, il Ministero israeliano dei Trasporti afferma di non aver ricevuto alcuna
comunicazione. Ma la stampa israeliana alcuni giorni fa aveva riferito del divieto
di transito ad un aereo militare israeliano, diretto in Polonia. Il servizio di Fausta
Speranza: Non è chiaro
se le disposizioni impartite da Erdogan si riferiscano solo ai velivoli delle Forze
armate israeliane, o anche ai voli civili. Se fosse confermata la chiusura totale
dello spazio aereo turco, la principale ripercussione per Israele sarebbe nei voli
diretti all'Europa orientale. Sorvolare la Grecia comporterebbe costi maggiori. In
ogni caso, il nodo vero è quello che il provvedimento rappresenta: il via ad un duro
braccio di ferro tra Turchia e Israele, che viene ad aggiungersi ai problemi già ben
evidenti in Medio Oriente. Problemi tra i quali campeggia oggi la minaccia nucleare
iraniana: il capo della Cia, Panetta, afferma che a Teheran possono bastare due anni
per la bomba atomica e poi spiega che sulle decisioni da prendere la linea di Washington
non è quella di Tel Aviv: al momento, gli Usa hanno convinto Israele che è ancora
il tempo della diplomazia e delle sanzioni, e non ancora quello delle armi. È chiaro
che il contrasto tra Israele e Turchia viene ad inserirsi in questo contesto. Più
in generale, i temi del nucleare ci portano anche su un altro fronte aperto per la
comunità internazionale: quello della Corea del Nord. Se al G20 l’Iran è stato un
tema scottante e ricorrente nei vari colloqui bilaterali, sulla Corea del Nord si
è pronunciato per tutti Barack Obama: “il comportamento bellicoso – ha detto – è inaccettabile”.
Per tutta risposta Pyongyang ha fatto sapere che rafforzerà il proprio arsenale nucleare.
E ha lanciato accuse e minacce: gli Stati Uniti avrebbero portato armi pesanti nella
zona demilitarizzata al confine con la Corea del Sud; armi che se non saranno ritirate
velocemente provocheranno “pesanti misure militari”. Sappiamo che il presidente americano
in occasione del G20 ha parlato del rischio Corea in modo molto franco con la Cina.
Sulla questione iraniana la Cina, così come la Russia, si è unita alle sanzioni. Su
Pyongyang non sappiamo quale linea adotterà nel prossimo futuro. Pakistan Agenti
di polizia e artificieri stanno cercando di stabilire le cause dell'esplosione che
ad Hyderabad, nel sud del Pakistan, ha provocato almeno 18 morti e molti feriti, alcuni
in gravi condizioni. Distrutti otto negozi e danneggiata una moschea a poca distanza
dal luogo della deflagrazione. Sempre nel sud del Paese vicino al confine afghano,
a Chaman, stamattina due autobotti con carburante destinato alle forze della Nato
in Afghanistan sono andate distrutte in un incendio. Secondo i media pachistani non
ci sono vittime. Mentre almeno 12 sospetti militanti islamici estremisti sono stati
uccisi in una battaglia nella regione tribale di Orakzai, nel nordovest del Pakistan.
I militanti hanno attaccato un posto di blocco dell'esercito che ha risposto aprendo
il fuoco.
Afghanistan Almeno 600 militari afghani e della Nato hanno
lanciato oggi un’offensiva contro basi di Al Qaeda e dei talebani nella provincia
orientale di Kunar, alla frontiera con l'Afghanistan, con un bilancio di almeno 30
talebani morti. Intanto, nel sud del Paese, nella provincia di Ghazni, almeno cinque
persone sono morte in un attentato. Un ordigno è esploso in un luogo affollato. Mentre
quattro soldati norvegesi della Forza internazionale di assistenza alla sicurezza
(Isaf) hanno perso la vita per l'esplosione di un ordigno artigianale nella provincia
di Faryab, nel nord del Paese. Ieri, altri cinque militari di Oslo sono rimasti uccisi
nei pressi di Meymaneh, nell'ovest del Paese.
In Kirghizistan vince il sì
alla Costituzione parlamentare Il referendum per la nuova Costituzione ispirata
alla democrazia parlamentare ha riportato ieri in Kirghizistan oltre il 90% dei “sì”.
In particolare, i voti a favore sono stati il 90,84%, contro il 7,84% dei “no”. L'affluenza
è stata del 70%. Il Kirghizistan è reduce da una rivolta che in aprile ha portato
alla destituzione del presidente, Kurmanbek Bakiev, e all'insediamento di un governo
provvisorio e da recenti scontri etnici tra kirghizi e uzbeki che hanno causato un
centinaio di morti. Il presidente russo Medvedev ha commentato così l'esito del voto:
"Non riesco ad immaginare – ha affermato – come il modello di una democrazia parlamentare
possa funzionare in Kirghizistan."
Sequestrato mercantile battente bandiera
di Singapore nel golfo di Aden Il mercantile "Golden Blessing", battente bandiera
di Singapore, è stato assaltato e sequestrato da pirati somali nel golfo di Aden,
nell'Oceano Indiano, tra lo Yemen e la Somalia. Lo ha reso noto il Centro per il soccorso
marittimo cinese sostenendo che a bordo vi fossero 19 marinai cinesi.
Elezioni
in Burundi ma con un solo candidato: l’opposizione si è ritirata Sono tre milioni
e mezzo gli elettori chiamati oggi alle urne in Burundi per le presidenziali che vedono
in corsa un unico candidato, il presidente uscente, Pierre Nkurunziza. Il voto cade
in un momento particolarmente delicato per il Paese africano, da poco uscito da 13
anni di devastante guerra civile, con un bilancio di 300 mila morti tra il 1993 e
il 2006. Nei giorni scorsi, si sono susseguiti attacchi con bombe a mano, violenze
e arresti tra i leader dell’opposizione, che a maggio non hanno riconosciuto la vittoria
governativa alle elezioni comunali e si sono ritirati dalla competizione presidenziale.
Stamani, c’è stato un episodio di sparatoria ad un seggio nella provincia occidentale
di Bubanza. Della situazione in Burundi, parla padre Claudio Marano, missionario
saveriano e direttore del Centre Jeunes Kamenge di Bujumbura, in Burundi, intervistato
Giada Aquilino: R. – È un appuntamento
che rientra nel quadro di più momenti elettorali di questo 2010. Il primo momento
è stato quello delle elezioni comunali: i risultati hanno sancito un 64% al partito
unico al potere. Da questo dato, tutti i partiti hanno cominciato a gridare che ci
sono state delle manipolazioni e l’opposizione si è ritirata dalle elezioni presidenziali.
C’erano sette, otto candidati e, per protesta, l’opposizione si è chiamata fuori.
C’è però sempre stato un proseguimento nei contatti e nel dialogo tra l’opposizione,
il governo, le associazioni internazionali, l’Onu, per dare la possibilità a tutti
di discutere del futuro del Burundi, anche perché poi a luglio ci saranno le elezioni
legislative, con i deputati e i senatori da eleggere.
D. – Questo voto
è arrivato dopo anni di devastante guerra civile. Che Paese è oggi il Burundi?
R.
– Durante la guerra, quelli che avevano più voce erano quelli che utilizzavano le
armi. Finita la guerra, c’è sempre stato l’Fnl (Forze nazionali di liberazione) che
ha continuato questo gioco fino a due anni fa. Adesso la situazione del Paese è molto
grave: ci sono miseria e fame, anche a causa di realtà climatiche diversificate. La
situazione politica e l’impossibilità del governo di continuare a gestire il Paese
a livello economico, lavorativo, produttivo, mettono poi tutto seriamente in crisi.
D.
– Come siete impegnati lei come missionario e la Chiesa locale affinché questo periodo
di stallo venga superato?
R. – Ci siamo impegnati a fare tutta una serie
di formazioni nelle scuole, anche con degli spettacoli teatrali, per riuscire a mettere
insieme la popolazione e dire che insieme si sta meglio. Stiamo facendo dei campi
di lavoro dove dei giovani Tutsi e Hutu, dei giovani di ogni partito politico si sono
messi insieme e vanno a lavorare nei quartieri per dire alla gente: “Siamo insieme,
lavoriamo insieme e questo potete farlo tranquillamente anche voi”. Il Burundi ha
bisogno di questo. Russia Circa 170 persone sono morte annegate
nelle ultime due settimane in Russia – 32 nella sola Mosca – cercando refrigerio nei
fiumi o nei laghi a causa del caldo che ha sfiorato a volte i 40 gradi. Diverse, secondo
gli esperti, le cause delle morti: tuffi in zone profonde e pericolose, sbalzi di
temperatura, uso di alcolici.
In Giappone resta il divieto di Internet in
campagna elettorale In Giappone, campagna elettorale senza Internet. Resta
il divieto in vista del voto per il rinnovo del Senato previsto l’11 luglio. Il serviziodi Michela Altoviti.
Secondo
l’attuale legge, i candidati giapponesi non possono utilizzare forme scritte o visive
per la propria campagna elettorale. Ciò significa che agli aspiranti senatori
e ai singoli partiti è vietato aggiornare i propri siti e blog nel periodo che precede
il voto. In particolare, netto è il divieto di utilizzare network come Twitter e la
posta elettronica, giudicati da alcuni parlamentari strumenti “potenzialmente pericolosi”
per i rischi legati alla diffamazione. Un'intesa bipartisan, raggiunta il mese scorso,
aveva aperto le porte alla modifica delle restrizioni: modifica che si sarebbe dovuta
decidere entro la sessione parlamentare conclusasi il 16 giugno scorso. Poi, c’è stata
la scossa politica che ha interessato il Partito democratico con le dimissioni di
fine maggio dell'ex premier, Yukio Hatoyama. L'evento ha stravolto il calendario parlamentare
e impedito l'approvazione della bozza di legge per rimuovere il bando a Internet.
Secondo l'intesa preliminare, la Dieta, la Camera dei parlamentari giapponesi,
era pronta a togliere i vincoli all’utilizzo di blog e siti Internet in campagna elettorale.
La "legalizzazione" del web a mezzo di propaganda elettorale è vista da molti
come un'ultima spiaggia per riportare al voto l'elettorato giovane, sempre più distante
dalla politica: nelle elezioni generali dello scorso anno, solo il 46,7% degli aventi
diritto tra i 20-24 anni si è recato alle urne, contro l'85% nella fascia di età 65-69.(Panoramica
internazionale a cura di Fausta Speranza) Bollettino del Radiogiornale
della Radio Vaticana Anno LIV no. 179 E' possibile
ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino
del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sulla home page del sito www.radiovaticana.org/italiano.