I vescovi greci: i segni religiosi garantiscono la convivenza pacifica
Proibire il crocifisso nei luoghi pubblici non aiuterà la convivenza pacifica in Europa,
ammoniscono in una nota i vescovi greci, in vista della sentenza del prossimo 30 giugno
sul ricorso presentato dall'Italia e sostenuto da altri Paesi riguardo al ritiro dei
crocifissi dai luoghi pubblici. Il comunicato - di cui riferisce l'agenzia Zenit -
è firmato dal presidente del Santo Sinodo delle agerachia cattolica della Grecia,
mons. Franghiskos Papamanolis, vescovo di Santorini e vicario di Creta, e dal segretario,
mons. Nikolaos Printesis, arcivescovo di Naxos, Andros, Tinos e Mykonos e vicario
di Chios. Per i presuli greci, "la condanna dell'Italia, un Paese con una cultura
cristiana universale e una tradizione storica, la cui capitale è allo stesso tempo
la Sede apostolica del vescovo di Roma e il centro della Chiesa cattolica, sarebbe
il principale di una serie di atti già specificati, tra cui il rifiuto dei dirigenti
politici e dei rappresentanti dei Paesi europei di riconoscere nella Costituzione
le radici cristiane del nostro vecchio continente". "Una piccola minoranza può impedire
che la grande maggioranza esprima la sua fede in conformità con le tradizioni del
suo popolo, ma allo stesso tempo non si permetterà di impedire alla maggioranza delle
minoranze religiose di esprimere la propria fede", avvertono. I presuli insistono
sul fatto che "il rispetto reciproco delle tradizioni religiose è necessario in una
società che sta diventando sempre più multiculturale". "In questo modo si assicura
la convivenza pacifica di tutti i credo e di tutte le tradizioni, condannando ogni
forma di fondamentalismo religioso, che all'umanità ha portato solo dolore". "Non
si deve” dunque “proibire - concludono i vescovi greci - l'esibizione pubblica di
simboli religiosi cristiani nelle società che hanno secoli di tradizione cristiana,
soprattutto nei luoghi in cui cresce l'autocoscienza religiosa di bambini e giovani".
"Il contrario sarebbe una contraddizione e la negazione del patrimonio spirituale
e culturale di un Paese, in cui le radici fanno parte del futuro". (R.G.)