A Roma il convegno “Valori e diritto. Il caso del Crocifisso” alla presenza del cardinale
Herranz
Il rapporto tra valori e diritto sarà al centro del dibattito organizzato oggi pomeriggio
a Roma, presso la Sala del Consiglio dei Beni Culturali, con la partecipazione tra
gli altri del cardinale Julian Herranz e dei ministri Bondi e Sacconi. Sullo sfondo
del dibattito il caso del Crocifisso nelle aule. Il 30 giugno prossimo, la Corte europea
dei diritti dell’uomo si pronuncerà in seconda istanza sul caso della donna finlandese
residente in Italia, che ha chiesto la rimozione del Crocifisso dalle scuole. In prima
istanza, era stato riconosciuto il presunto diritto della donna a un’educazione laica,
ma l’Italia ha presentato ricorso, registrando il formale appoggio di 10 Paesi europei.
Al dibattito nel pomeriggio parteciperà anche il presidente del movimento “Umanesimo
cristiano”, Claudio Zucchelli, intervistato da Fausta Speranza:
R.
– Il diritto che non si fondi sulla cultura e sull’identità di una nazione non è un
diritto, è una sovrastruttura razional-costruttivista, come direbbe Von Hayek della
scuola di Vienna. Quindi, il diritto deve essere coincidente con i valori culturali
di una nazione. E il dibattito che la tavola rotonda vuole sollecitare è, allo stesso
tempo, culturale e giuridico. Il Crocifisso è simbolo della nostra identità culturale,
che non fa distinzione fra laici e credenti. Noi abbiamo visto in questi mesi, dopo
la sentenza, che anche personalità politiche dichiaratamente non credenti si sono
schierate a fianco del governo, a sostenere le sue ragioni, proprio perché il Crocifisso,
e in genere direi i valori cristiani, fanno parte della nostra identità di nazione
e dell’identità europea.
D. – Ricordiamo che la Corte europea dei diritti
dell’uomo fa capo all’organismo del Consiglio d’Europa, distinto dall’Unione Europea.
Da parte sua, però, l’Unione Europea ha provato con pronunciamenti del parlamento
a ribadire al Consiglio d’Europa che i simboli religiosi sono materia per l’Ue di
ogni Stato membro e quindi non ci può essere una giurisdizione superiore…
R.
– Sì, in effetti è così, e a lungo l’Unione Europea è stata anche in forse se aderire
al ricorso dell’Italia come soggetto di diritto internazionale. Probabilmente, il
peso di alcuni Paesi - che io non definirei laici ma probabilmente più attenti ad
alcune dinamiche al loro interno - ha sconsigliato l’Unione Europea dal prendere questa
posizione. Non è un mistero che Paesi come la Francia, la Germania, l’Inghilterra,
la Spagna siano attenti ad equilibri di minoranze interne e altre questioni.
D.
– Lei è presidente di "Umanesimo cristiano": potrebbe essere umanesimo senza la Croce?
R.
– Noi riteniamo che l’umanesimo inizi con la Croce, inizi con il messaggio evangelico:
un messaggio che poi - come il sottosegretario del governo italiano Gianni Letta ha
ricordato ieri alla presentazione del convegno - si amalgama e prende forza dai valori
umani della filosofia greca e del diritto romano. Sappiamo fin da bambini che non
è un caso se la venuta di Gesù coincide con il massimo apogeo dell’Impero Romano e,
quindi, con la massima capacità di diffusione e con il radicamento su una cultura
giuridica, cioè delle regole, che era in grado di acquisire questo umanesimo e quindi
di nutrirsene per diventare un diritto pregno di valori, come diciamo noi. La Convenzione
dei diritti umani del Consiglio d’Europa è stata cristallizzata in un testo di legge
e, come sempre accade, la legge cristallizzata comincia a vivere una vita sua propria
attraverso l’interpretazione di giuristi, di giureconsulti, di magistrati e così via,
e il rischio forte è che essa si divarichi dalla società aperta, dalla società reale.
Il ricorso, prima, e in particolare la memoria, dopo, del governo italiano - curata
principalmente dal consigliere Umberto De Agostini, un magistrato di Cassazione -
sottolinea proprio questo: vi sono dei limiti al giudizio della Corte, perché altrimenti
la Convenzione rischia di diventare autoreferenziale, sradicata dai veri valori culturali
di un intero continente. Il fatto che ben dieci Paesi si siano costituiti a favore
dell’Italia, e altri quattro abbiano mandato delle lettere di adesione, dimostra che
non è un problema soltanto italiano, ma è un problema di identità culturale europea.