2010-06-20 14:57:59

L’impegno dei cristiani per la riconciliazione nel Medio Oriente: la riflessione dell’islamologo padre Khalil Samir


Nella martoriata regione del Medio Oriente, i cristiani sono chiamati “a portare uno spirito di riconciliazione basata sulla giustizia e l’equità” per israeliani e palestinesi. E’ uno dei passaggi più significativi dell’Instrumentum Laboris, il documento di lavoro del Sinodo dei Vescovi per il Medio Oriente, consegnato ai presuli dal Papa a Cipro lo scorso 6 giugno. Proprio sull’impegno per la pace dei cristiani in Terra Santa, Fabio Colagrande ha intervistato il padre gesuita Samir Khalil Samir, docente di Storia della cultura araba e Islamologia all’Università Saint-Joseph di Beirut e al Pontificio Istituto Orientale: RealAudioMP3

 

R. – Se i cristiani non intervengono in quanto cristiani, il conflitto israelo-palestinese non finirà mai. Perché? Perché il musulmano, oggi, ha islamizzato il problema israelo-palestinese, e l’ebreo fa lo stesso. Cioè, l’uno dice: “Questa terra è mia perché fa parte della ‘umma’ islamica”, e l’ebreo fa lo stesso. Israele, per contro, pretende: “Questa Terra è nostra perché Dio ce l’ha data”, anche se tante volte non parlano di Dio, ma indirettamente è questo! E’ molto difficile, ma non impossibile, per un musulmano di non pensare in termini di “umma”, ed è molto difficile per un ebreo – soprattutto dopo la Shoa – di non pensare: “Vogliamo proteggerci e creare uno Stato, affinché non accada di nuovo ciò che è successo in Germania”. L’unico modo di ottenere i propri diritti è la legge internazionale. A questo punto, il cristiano è l’unico a portare avanti questo argomento.

 

D. Quindi, il cristiano che cosa difende?

 

R. - La giustizia e il diritto. E non ci sarà pace senza giustizia, e non ci saranno giustizia e pace se non si accetta di dialogare, di fare delle concessioni. Come diceva Giovanni Paolo II in uno dei suoi messaggi del primo gennaio, per la Giornata mondiale per la pace: “Non ci sarà pace senza giustizia, ma non c’è giustizia senza perdono”. Infatti, è necessario accettare situazioni ingiuste e perdonare, nella consapevolezza che anche io ho commesso ingiustizie. Se poi vogliamo arrivare a delle concessioni, non possiamo applicare strettamente una politica del “ti do questo, mi dai quello”. Se vogliamo vivere insieme, nella comunità delle nazioni, dobbiamo dire: “Va bene. So che mi hai fatto questo torto: ti perdono”, e l’altro risponderà: “Anche io, perché vogliamo guardare al futuro”. Ora, la mia esperienza mi dimostra che, per il momento, solo il cristiano rispetta quest’ultimo punto. Lo scopo è costruire la pace. In questo momento, secondo la mia esperienza, solo la visione cristiana è capace di proporre la pace come un bene superiore.

 

D. La politica portata avanti da israeliani e palestinesi cosa ha dimostrato fino ad oggi?

 

R. - La politica dimostra che senza pace i due ci perdono: Israele sta soffrendo perché non trova la sicurezza e perché ha subito delle vittime; i palestinesi, non solo perché hanno perso delle persone, ma hanno perso tutto: la terra, la vita, l’onore e la dignità. Ci sono dei cittadini che lottano per la pace, ma non sono abbastanza forti per imporre ai loro governi di dire: “La pace vale più che conquistare un pezzo di terra”. (Montaggio a cura di Maria Brigini)








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