Il Papa ordina 14 diaconi: conformatevi alla volontà di Dio, senza ricercare il potere
personale. All’Angelus, appello per la pace in Kirghizistan
Il vero sacerdote non aspira ad accrescere il proprio prestigio personale, ma cerca
di conformarsi alla volontà di Dio: è uno dei passaggi forti dell’omelia di Benedetto
XVI, che stamani in una solenne Messa nella Basilica di San Pietro ha conferito l’ordinazione
sacerdotale a 14 diaconi della diocesi di Roma. La Messa è stata concelebrata dal
cardinale vicario Agostino Vallini, assieme ai vescovi ausiliari, i rettori dei seminari
romani e numerosi sacerdoti. All’Angelus, in Piazza San Pietro, Benedetto XVI ha rivolto
un pressante appello per la pace in Kirghizistan. Quindi, nella Giornata Mondiale
del Rifugiato, ha chiesto che vengano riconosciuti i diritti di quanti sono costretti
a fuggire dalla propria terra d’origine. Il servizio di Alessandro Gisotti:
Conformatevi
alla volontà di Dio, testimoniando il Vangelo con coraggio, senza cedere alle mode
e alle opinioni del momento: è la viva esortazione di Benedetto XVI ai 14 nuovi sacerdoti
della diocesi di Roma, ordinati in una Basilica Vaticana gremita di fedeli.
Il
Papa ha subito sottolineato che l’intera Chiesa di Roma rende grazie a Dio per questi
nuovi presbiteri e ripone fiducia e speranza nel loro domani:
“Sì,
la Chiesa conta su di voi, conta moltissimo su di voi! La Chiesa ha bisogno di ciascuno
di voi, consapevole come è dei doni che Dio vi offre e, insieme, dell’assoluta necessità
del cuore di ogni uomo di incontrarsi con Cristo, unico e universale salvatore del
mondo, per ricevere da lui la vita nuova ed eterna, la vera libertà e la gioia piena”.
Si è così soffermato sulla liturgia della
Domenica, che presenta il passo del Vangelo in cui Pietro, differenziandosi dall’opinione
della gente, riconosce in Gesù il Cristo di Dio. Benedetto XVI ha indicato nella preghiera
la sorgente di questo atto di fede. Dallo stare con il Signore, spiega, “deriva una
conoscenza che va al di là delle opinioni della gente per giungere all’identità profonda
di Gesù”. Un’indicazione, questa, “ben precisa per la vita e la missione del sacerdote”:
“Nella
preghiera egli è chiamato a riscoprire il volto sempre nuovo del suo Signore e il
contenuto più autentico della sua missione. Solamente chi ha un rapporto intimo con
il Signore viene afferrato da Lui, può portarlo agli altri, può essere inviato. Si
tratta di un «rimanere con Lui» che deve accompagnare sempre l’esercizio del ministero
sacerdotale; deve esserne la parte centrale, anche e soprattutto nei momenti difficili,
quando sembra che le «cose da fare» debbano avere la priorità”.
Ha
così rammentato che il discepolo è chiamato a seguire Gesù sulla strada della Croce,
a “perdere se stesso” per ritrovare pienamente se stesso in Cristo. Ecco allora, è
stato il suo monito, che “il sacerdozio non può mai rappresentare un modo per raggiungere
la sicurezza nella vita o per conquistarsi una posizione sociale”:
“Chi
aspira al sacerdozio per un accrescimento del proprio prestigio personale e del proprio
potere ha frainteso alla radice il senso di questo ministero. Chi vuole soprattutto
realizzare una propria ambizione, raggiungere un proprio successo sarà sempre schiavo
di se stesso e dell’opinione pubblica”.
“Per essere
considerato – ha proseguito - dovrà adulare; dovrà dire quello che piace alla gente;
dovrà adattarsi al mutare delle mode e delle opinioni e, così, si priverà del rapporto
vitale con la verità, riducendosi a condannare domani quel che avrà lodato oggi”.
Un uomo che imposti così la sua vita, ha detto ancora, “un sacerdote che veda in questi
termini il proprio ministero, non ama veramente Dio e gli altri, ma solo se stesso
e, paradossalmente, finisce per perdere se stesso”:
“Il sacerdozio
- ricordiamolo sempre - si fonda sul coraggio di dire sì ad un’altra volontà, nella
consapevolezza, da far crescere ogni giorno, che proprio conformandoci alla volontà
di Dio, «immersi» in questa volontà, non solo non sarà cancellata la nostra originalità,
ma, al contrario, entreremo sempre di più nella verità del nostro essere e del nostro
ministero”.
Benedetto XVI non ha poi mancato di
mettere l’accento sul legame tra l’Eucaristia e il Sacramento dell’Ordine, ricordando
che al sacerdote “è affidato il sacrificio redentore di Cristo, il suo corpo dato
e il suo sangue versato”. Quando celebriamo la Santa Messa, ha soggiunto, “teniamo
nelle nostre mani il pane del Cielo, il pane di Dio che è Cristo”:
“È
qualcosa che non vi può non riempire di intimo stupore, di viva gioia e di immensa
gratitudine: ormai l’amore e il dono di Cristo crocifisso e glorioso passano attraverso
le vostre mani, la vostra voce, il vostro cuore!”.
Il
Papa ha quindi invocato il Signore affinché dia ai nuovi sacerdoti “una coscienza
sempre vigile ed entusiasta” del dono dell’Eucaristia, centro del loro essere preti.
Ed ha auspicato che possano “vivere questo ministero con coerenza e generosità, ogni
giorno”. Alla cura per la celebrazione eucaristica, ha detto ancora, si accompagni
“sempre l’impegno per una vita eucaristica”, vissuta cioè nell’obbedienza alla grande
legge dell’amore. Cari sacerdoti, ha concluso il Papa, “la strada che ci indica il
Vangelo di oggi è la strada della vostra spiritualità e della vostra azione pastorale,
della sua efficacia e incisività, anche nelle situazioni più faticose ed aride”. E’
questa “la strada sicura per trovare la vera gioia”.
Dopo
la Messa, il Papa si è affacciato dalla finestra del suo studio per la recita dell’Angelus.
Benedetto XVI ha rivolto un pressante appello affinché “la pace e la sicurezza siano
ristabilite nel Kirghizistan meridionale” dopo “i gravi scontri verificatisi nei giorni
scorsi”. Alle vittime di questa tragedia, il Pontefice ha espresso la sua “commossa
vicinanza”:
“Invito, inoltre, tutte le comunità etniche del Paese
a rinunziare a qualsiasi provocazione o violenza e chiedo alla comunità internazionale
di adoperarsi perché gli aiuti umanitari possano raggiungere prontamente le popolazioni
colpite”.
Il Papa ha poi ricordato la celebrazione della Giornata
Mondiale del Rifugiato. Una ricorrenza, ha detto, che deve “richiamare l’attenzione
ai problemi di quanti hanno lasciato forzatamente la propria terra”, “giungendo in
ambienti che, spesso, sono profondamente diversi”:
“I rifugiati
desiderano trovare accoglienza ed essere riconosciuti nella loro dignità e nei loro
diritti fondamentali; in pari tempo, intendono offrire il loro contributo alla società
che li accoglie. Preghiamo perché, in una giusta reciprocità, si risponda in modo
adeguato a tale aspettativa ed essi mostrino il rispetto che nutrono per l’identità
delle comunità che li ricevono”.
Riprendendo la riflessione sviluppata
nella Messa in San Pietro, il Papa ha ribadito che tutti i fedeli sono chiamati a
seguire Gesù “sulla strada impegnativa dell’amore fino alla Croce”. Prendere la Croce,
ha aggiunto, significa “impegnarsi per sconfiggere il peccato che intralcia il cammino
verso Dio”, accrescere la fede “soprattutto dinnanzi ai problemi, alle difficoltà,
alla sofferenza”. Ed ha citato l’esempio di Edith Stein, che ha testimoniato la fede
in un tempo di persecuzione:
“Anche nell’epoca attuale molti sono
i cristiani nel mondo che, animati dall’amore per Dio, assumono ogni giorno la croce,
sia quella delle prove quotidiane, sia quella procurata dalla barbarie umana, che
talvolta richiede il coraggio dell’estremo sacrificio”.