2010-06-19 15:34:16

L'appello delle Caritas del Mediterraneo all'Europa a non alzare barriere in nord Africa contro i migranti


Organizzare i Paesi dell’Africa settentrionale come una “barriera” per i flussi migratori che arrivano dalla fascia subsahariana o dall’Oriente, attraverso il Corno d’Africa, diretti in Europa. E’ l’idea perseguita da molti Stati del Vecchio continente, ma ritenuta un’utopia – nonché foriera di violazioni dei diritti umani – da chi vive a contatto quotidiano con questo fenomeno, nel segno della solidarietà. E’ il caso delle Caritas del Mediterraneo, che ieri hanno concluso nella città siciliana di Valderice il Forum “Migramed”. Fabio Colagrande ne ha parlato con padre Cesare Baldi, direttore di Caritas Algeria:RealAudioMP3

 

R. – A mio parere, è un errore pensare di usare questi nostri Paesi del Nordafrica come diga, come argine al flusso migratorio soprattutto dal Sud del continente africano, anche perché non ci sono le sponde naturali, come dovrebbe prevedere una diga. Possiamo fermare un certo flusso in Libia piuttosto che in Algeria: ma in quel caso, il flusso troverà altre strade per arrivare poi in Europa.

 

D. – Questo, tra l’altro, molto spesso provoca anche delle violazioni dei diritti umani…

 

R. – Assolutamente! E questo è l’aspetto più grave e spesso più drammatico. Si è arrivati a dire che si rischia anche nelle acque mediterranee di violare le Convenzioni di Ginevra, di violare questo diritto – che è un diritto sacrosanto – di potersi spostare e di poter cercare lavoro là dove lo si trova, e di poter anche addirittura – e soprattutto – fuggire da situazioni di difficoltà e qualche volta perfino di terrore e di guerra.

 

D. – Questo non crea anche dei problemi anche alle persone, agli operatori che si occupano di accogliere questi migranti?

 

R. – Certo che crea problemi, perché spesso nei nostri Paesi siamo proprio sul filo del rasoio: dobbiamo fare molta attenzione e allo stesso tempo salvaguardare la legislazione e la volontà delle nazioni in cui operiamo e, allo stesso tempo, la solidarietà verso persone che sono in difficoltà, spesso in situazioni precarie di salute. Per cui, anche qui, attenzione a quando parliamo di persone che arrivano nel "nostro" Mar Mediterraneo, nel "Mare nostrum": nelle loro prospettive, quando arrivano sulle sponde meridionali del Mediterraneo loro si sentono già quasi alla meta! Ci illudiamo di respingerli: hanno già fatto migliaia di chilometri, hanno attraversato situazioni qualche volta inenarrabili. Se vogliamo affrontare il problema, occorre una politica di sostegno a partire dai Paesi di origine, che non sono e non possono essere – soprattutto nel caso africano – considerati soltanto come Paesi-risorsa per i nostri appetiti di carattere soprattutto energetico.








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