2010-06-18 14:55:09

I vescovi d’Europa in difesa del crocifisso: “Simbolo di identità e tradizione”


In vista della prima udienza della Corte europea dei diritti dell'uomo, sul ricorso presentato dall'Italia in cui si rivendica il diritto di esporre il crocifisso nei luoghi pubblici, in programma per il 30 giugno prossimo, continua a levarsi da tutta Europa la voce dei vescovi che richiama l’attenzione sui sentimenti religiosi delle popolazioni e sulle tradizioni delle nazioni. Ultimi in ordine di tempo a farsi sentire sono stati, questa mattina, i vescovi della Bulgaria: “Nessuno dubita che le radici d’Europa sono cristiane e che la civiltà europea esiste grazie al cristianesimo”. Secondo il presuli bulgari, il crocefisso non è strumento d’imposizione, ma espressione del più profondo amore, autentica solidarietà con tutti gli uomini, indipendentemente dalla loro fede, razza o nazionalità. “Perciò – si legge ancora nella dichiarazione della Conferenza episcopale bulgara - esortiamo tutti gli Stati cristiani, d’origine e tradizione, di non negare la presenza e l’esposizione in luoghi pubblici dei tradizionali simboli cristiani, come la croce e l’icona, specialmente nelle scuole, dove si formano ed educano i bambini d’Europa”. Le parole dei presuli bulgari fanno eco a quelle usate dalla Conferenza episcopale greca poche ore prima: “Una piccola minoranza non dovrebbe impedire alla stragrande maggioranza l'esercizio della propria fede religiosa, secondo le tradizioni del popolo. Allo stesso modo, la maggioranza non deve impedirlo alle minoranze”. “Il rispetto reciproco per le diverse tradizioni – si legge ancora nel comunicato dei vescovi greci - è necessario per il buon funzionamento di una società multiculturale”. Secondo i presuli ellenici “la condanna dell’Italia è l’inizio di una serie di procedure che si profilano all'orizzonte e che si riferiscono al rifiuto di alcuni leader politici e rappresentanti della comunità europea, di riconoscere nella Costituzione europea le radici cristiane del continente europeo”. Con toni simili ieri era tornato sulla questione anche il cardinale Keith O’Brien, presidente dei vescovi di Scozia: “La croce non è una imposizione della religione ma piuttosto un invito e un segno di solidarietà cristiana con tutti i popoli”. “L’Europa è un continente multiculturale e pluralista dove Stato e Chiesa sono nettamente separati e i diritti dei credenti e non credenti sono rispettati – ha ricordato il cardinale - rispettare queste distinzioni non significa che dovremmo respingere la tradizione culturale delle nostre nazioni”. “Mentre siamo in attesa della decisione della Corte – ha detto infine il porporato scozzese - dobbiamo ricordare quali vaste implicazioni potrebbero avere tali decisioni. La preziosa eredità religiosa di molte persone e nazioni in tutta Europa, così come i valori della tolleranza e della libertà di fede propugnate nelle società democratiche sono in pericolo”. Sempre ieri, la richiesta di non proibire “l’esposizione pubblica, in particolare nei luoghi dove si formano le menti ed i cuori, dei simboli religiosi, nella certezza che questi non sono di ostacolo” era arrivata anche da parte dei vescovi albanesi. Nella dichiarazione a firma del vicepresidente della Conferenza episcopale albanese, mons. Angelo Massafra, si spiega che “nella cultura e tradizione cristiana, la croce manifesta la salvezza comune e la libertà dell’umanità, un’esperienza non impositiva, il più alto grado di altruismo e generosità unito ad una profonda solidarietà offerta a tutti”. “Pur nella convivenza multietnica e multi religiosa – sottolinea il testo -, ogni nazione ha il diritto-dovere di salvaguardare i segni religiosi e i simboli tipici della propria cultura”. Il prossimo 30 giugno davanti alla Grande camera della Corte europea il governo italiano tenterà di ribaltare la sentenza con cui una delle Camere dell’organismo, lo scorso 3 novembre, aveva condannato l’Italia per l’esposizione del crocifisso nelle scuole. (M.G.)








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