I vescovi d’Europa in difesa del crocifisso: “Simbolo di identità e tradizione”
In vista della prima udienza della Corte europea dei diritti dell'uomo, sul ricorso
presentato dall'Italia in cui si rivendica il diritto di esporre il crocifisso nei
luoghi pubblici, in programma per il 30 giugno prossimo, continua a levarsi da tutta
Europa la voce dei vescovi che richiama l’attenzione sui sentimenti religiosi delle
popolazioni e sulle tradizioni delle nazioni. Ultimi in ordine di tempo a farsi sentire
sono stati, questa mattina, i vescovi della Bulgaria: “Nessuno dubita che le radici
d’Europa sono cristiane e che la civiltà europea esiste grazie al cristianesimo”.
Secondo il presuli bulgari, il crocefisso non è strumento d’imposizione, ma espressione
del più profondo amore, autentica solidarietà con tutti gli uomini, indipendentemente
dalla loro fede, razza o nazionalità. “Perciò – si legge ancora nella dichiarazione
della Conferenza episcopale bulgara - esortiamo tutti gli Stati cristiani, d’origine
e tradizione, di non negare la presenza e l’esposizione in luoghi pubblici dei tradizionali
simboli cristiani, come la croce e l’icona, specialmente nelle scuole, dove si formano
ed educano i bambini d’Europa”. Le parole dei presuli bulgari fanno eco a quelle usate
dalla Conferenza episcopale greca poche ore prima: “Una piccola minoranza non dovrebbe
impedire alla stragrande maggioranza l'esercizio della propria fede religiosa, secondo
le tradizioni del popolo. Allo stesso modo, la maggioranza non deve impedirlo alle
minoranze”. “Il rispetto reciproco per le diverse tradizioni – si legge ancora nel
comunicato dei vescovi greci - è necessario per il buon funzionamento di una società
multiculturale”. Secondo i presuli ellenici “la condanna dell’Italia è l’inizio di
una serie di procedure che si profilano all'orizzonte e che si riferiscono al rifiuto
di alcuni leader politici e rappresentanti della comunità europea, di riconoscere
nella Costituzione europea le radici cristiane del continente europeo”. Con toni
simili ieri era tornato sulla questione anche il cardinale Keith O’Brien, presidente
dei vescovi di Scozia: “La croce non è una imposizione della religione ma piuttosto
un invito e un segno di solidarietà cristiana con tutti i popoli”. “L’Europa è un
continente multiculturale e pluralista dove Stato e Chiesa sono nettamente separati
e i diritti dei credenti e non credenti sono rispettati – ha ricordato il cardinale
- rispettare queste distinzioni non significa che dovremmo respingere la tradizione
culturale delle nostre nazioni”. “Mentre siamo in attesa della decisione della Corte
– ha detto infine il porporato scozzese - dobbiamo ricordare quali vaste implicazioni
potrebbero avere tali decisioni. La preziosa eredità religiosa di molte persone e
nazioni in tutta Europa, così come i valori della tolleranza e della libertà di fede
propugnate nelle società democratiche sono in pericolo”. Sempre ieri, la richiesta
di non proibire “l’esposizione pubblica, in particolare nei luoghi dove si formano
le menti ed i cuori, dei simboli religiosi, nella certezza che questi non sono di
ostacolo” era arrivata anche da parte dei vescovi albanesi. Nella dichiarazione a
firma del vicepresidente della Conferenza episcopale albanese, mons. Angelo Massafra,
si spiega che “nella cultura e tradizione cristiana, la croce manifesta la salvezza
comune e la libertà dell’umanità, un’esperienza non impositiva, il più alto grado
di altruismo e generosità unito ad una profonda solidarietà offerta a tutti”. “Pur
nella convivenza multietnica e multi religiosa – sottolinea il testo -, ogni nazione
ha il diritto-dovere di salvaguardare i segni religiosi e i simboli tipici della propria
cultura”. Il prossimo 30 giugno davanti alla Grande camera della Corte europea il
governo italiano tenterà di ribaltare la sentenza con cui una delle Camere dell’organismo,
lo scorso 3 novembre, aveva condannato l’Italia per l’esposizione del crocifisso nelle
scuole. (M.G.)