La “Grande muraglia verde” dei Paesi del Sahel per fermare l’avanzata del deserto
Fermare l’avanzare del deserto, tagliando il Sahel e il Sahara con una barriera verde
profonda 15 chilometri e lunga oltre 7000, che collegherà Dakar (in Africa Occidentale)
con Gibuti (estremo opposto in Africa orientale). È quanto si propongono 11 Paesi
africani, attraversati della fascia semidesertica del Sahel, che ieri a N’djamena,
in Ciad, hanno firmato la convenzione che stabilisce la creazione dell’Agenzia panafricana
per la “Grande muraglia verde”, una ‘cintura’ di alberi e piante a basso fusto. “Abbiamo
aperto il più grande cantiere dell’umanità della storia contemporanea” ha detto alla
Misna il presidente senegalese Abdoulaye Wade, uno degli ideatori della ‘Muraglia
Verde’, chiudendo il vertice tenutosi ieri in Ciad e al quale, oltre ai rappresentanti
delle principali organizzazioni internazionali (dalle Nazioni Unite all’Unione Africana)
hanno partecipato rappresentanti di tutti i Paesi coinvolti nel progetto: Ciad, Burkina
Faso, Niger, Senegal, Sudan, Mali, Etiopia, Mauritania, Eritrea e Gibuti. “La grande
muraglia verde è un progetto concepito dagli africani per gli africani e per le future
generazioni, oltre ad essere un contributo dell’Africa alla lotta contro il riscaldamento
climatico” ha detto il presidente ciadiano, Idriss Deby Itno, chiamando i governi
del continente prima e la comunità internazionale poi a finanziare il progetto per
il quale il Fondo mondiale per l’ambiente ha già stanziato circa 100 milioni di euro.
Particolare attenzione al Sahel e alla lotta alla desertificazione viene da tempo
dedicata anche dalla Santa Sede che nel 1984 ha istituito la Fondazione Giovanni Paolo
II per il Sahel che fa parte del Pontificio Consiglio Cor Unum, che finanzia progetti
per combattere la siccità. Secondo gli esperti, la muraglia dovrebbe cominciare a
vedere la luce entro i prossimi tre o cinque anni. Dal 2005 la zona del Sahel è teatro
di una grave crisi alimentare, la peggiore degli ultimi 30 anni, anche a causa dell’avanzata
del deserto, che poco a poco sta ingoiando quelle che prima erano terre fertili. “Per
troppo tempo abbiamo considerato che quello dell’Ambiente fosse un problema dell’uomo
bianco, un problema da ricchi. Ma ora che le nostre terre sono state denudate e le
nostre mandrie muoiono perché non trovano più ombra sotto cui ripararsi dal sole abbiamo
capito che è anche un nostro problema” ha detto il ministro dell’Ambiente ciadiano,
Hassan Terap, precisando come in seguito alla siccità del 2009 in Ciad sia morto oltre
un terzo del bestiame del Paese (circa 780.000 capi). Il Ciad intende piantare circa
un migliaio di chilometri di Muraglia Verde sul proprio territorio, che, secondo le
stime dell’Onu, negli ultimi 20 anni ha subito una contrazione delle foreste esistenti
(stimate nel 1990 in quasi 12 milioni di ettari) di circa il 12%, con una diminuzione
costante delle zone forestali di circa lo 0,6% ogni anno. (M.G.)